di Giusi Fasano e Carlo Macrì Era da anni che nessuno faceva caso all’elenco del personale. Finché nella sanità calabrese commissariata non è arrivato il momento di mettere mano anche a quello, per capire esattamente chi fa cosa, dove, con quali mansioni, con quali turni.
Ed ecco le sorprese. Una fra le tante: nel settore amministrativo della sanità regionale risultano assunti 80 psicologi — ottanta —. Ci sono settori nei quali si contano più di 100 medici quando ne servirebbero meno della metà, altri che hanno più della metà dell’organico esentato dai normali turni di lavoro, infermieri che non fanno gli infermieri. «Una marea e mezzo di imboscati» per dirla con il commissario straordinario Massimo Scura.
«Abbiamo un elenco di problemi infiniti e in mezzo agli altri c’è anche quello di stanare gli scansafatiche, sì» conferma Francesco Politanò, dell’attivissima segretaria provinciale (Reggio Calabria) della Uil-Federazione poteri locali. «Abbiamo sotto gli occhi posizioni vergognose e ci accusano pure di essere contro i lavoratori… Ma lo sa che c’è un procedimento penale in corso perché 7 infermieri e 5 medici si dividono quasi 500 mila euro extra lavoro dichiarando turni che richiederebbero giornate di 48 ore? Lo sa che nell’ufficio vaccinazioni abbiamo 8 medici e 4 infermieri?». Quegli otto medici sono parte di un gruppo di 138, tutti al lavoro nel Dipartimento di prevenzione provinciale di Reggio.
«Abbiamo portato mazzi di denunce alle procure su irregolarità nei concorsi, negli appalti, nelle strutture» se la prende il suo collega e segretario provinciale Nuccio Azzarà, destinatario di minacce e buste con proiettili. «Ma sa qual è il vero problema? Che nonostante l’antimafia e i commissariamenti i posti chiave della sanità calabrese sono sempre in mano agli stessi da trent’anni, i dirigenti sono investiti a divinis . Perché davanti a risultati disastrosi nessuno viene mai rimosso?».
A Catanzaro sono rientrati da poco alle loro mansioni 24 infermieri che per anni avevano fatto altro ma Alfredo Iorno, segretario della Funzione Pubblica calabrese per la Cgil, dice che «è sbagliato parlare di imboscati e generalizzare. Si rischia di essere ingiusti e mettere nel mirino gente che lavora», e ricorda che «le aggressioni agli operatori sanitari sono all’ordine del giorno».
Ancora una anomalia, chiamiamola così. E ancora Asp di Reggio Calabria: nel suo territorio provinciale (esclusa la città di Reggio) lavorano 800 medici — senza contare i convenzionati e quelli di famiglia — per 350/400 posti letto. La stessa Asp registra la più alta percentuale di personale ospedaliero (cioè il 53%) ad avere il diritto di limitazione o esclusione dai turni, perché fisicamente non idoneo o per assistere parenti gravemente malati; 53% significa che, su 1.178, lavorano a regime ridotto 652 operatori sanitari vari.
A fronte di tutto questo risultano da regolarizzare in tutta la regione le posizioni di 900 dipendenti che lavorano da anni con contratti a termine. «Io so soltanto che in tutta la Calabria gli infermieri, fra il pubblico e il privato, sono più di 15 mila e ne servirebbero altri 750 per rispettare la normativa sugli orari di lavoro» dice Fausto Sposato, presidente regionale dell’ordine degli infermieri. «Nella provincia di Cosenza, che è la più vasta d’Italia, la situazione è drammatica».
Drammatica. Non soltanto perché mancano infermieri, giura Alessandra Cozza, dell’associazione «Sanità è vita», «ma perché nell’alto Cosentino, chiusi tutti gli ospedali, quello calabrese più vicino è a 55 chilometri e abbiamo casi di persone morte di ictus o infarto per la troppa distanza. Il Consiglio di Stato ci ha dato ragione per riaprire Praia ma nonostante la sentenza nessuno fa un passo. E i calabresi vanno a curarsi o a far nascere i loro bambini in Basilicata».Ecco un altro problema: la migrazione dei pazienti, una realtà che alle casse regionali è costata 300 milioni di euro nel solo 2015. La riassume bene il presidente della Regione, Mario Oliverio: «Il più grande ospedale della Calabria è fuori dalla Calabria» dice, puntando il dito sulla gestione commissariale che «ha lavorato come un corpo a sé stante» e ricordando che «siamo ultimi nella famosa Griglia Lea», quella che misura i livelli essenziali di assistenza. Ultimi: con 137 punti quando il minimo sarebbe 160. Ultimi (soprattutto nel Cosentino) anche nella prevenzione, con screening oncologici a quota 2 quando la sufficienza è nove. E ultimi nei tempi di attesa per le visite specialistiche, con una media che va oltre i dodici mesi. E nonostante quest’affresco non c’è un solo dirigente del Dipartimento per la tutela della salute che nel 2015 non abbia incassato il 100% del premio di risultato.
Le segnalazioni alle procure per irregolarità di ogni genere si moltiplicano ma, per dirla con il procuratore capo di Vibo Valentia Mario Spagnuolo, «le nostre indagini sono fatte tutte senza la collaborazione o, peggio, contro la volontà della parte offesa. E intanto, per citare un dettaglio, non c’è un solo controllo dei vigili del fuoco in una struttura sanitaria che non abbia trovato criticità sul fronte della sicurezza».
Criticità. La parola più citata nei discorsi, la più scritta nelle relazioni sulla sanità in Calabria.
Il Corriere della Sera – 5 giugno 2016