Un fondo alimentato dalle trattenute sugli stipendi e usato per concedere prestiti e mutui. Da cui il governo vuole attingere per finanziare prepensionamenti, incentivi e nuove assunzioni. Senza gravare sul bilancio dello Stato. Ecco il piano segreto di Palazzo Chigi
di Paolo Fantauzzi. Scivoli pensionistici, migrazioni “bibliche” di dipendenti da un ufficio all’altro a seconda delle esigenze, reclutamento dei giovani dopo anni di blocco delle assunzioni. L’ambizione della riforma della Pubblica amministrazione è pari a quella mostrata dal premier Matteo Renzi su tutti i campi che rientrano nel raggio d’azione del governo: “cambiare verso”, “rivoluzionare l’Italia”, è “la volta buona”. Già, ma con quali soldi?
Un interrogativo inevitabile, considerata la persistente crescita del disavanzo pubblico e la rigidità dei vincoli europei. Eppure, almeno per la riforma del pubblico impiego, a Palazzo Chigi c’è la convinzione di aver trovato una possibile soluzione al problema economico. Al punto di poter finanziare questa grande partita senza gravare sui saldi di finanza pubblica.
RIFORMA A COSTO ZERO?
Il cavallo di Troia si chiama Fondo credito, un deposito previsto nel bilancio dell’Inpdap (l’istituto di previdenza dei dipendenti pubblici soppresso nel 2011 e ora passato in capo all’Inps) che viene utilizzato per concedere prestiti e mutui a tassi agevolati ai dipendenti dello Stato. Ma anche per finanziare borse di studio, master, dottorati di ricerca e vacanze studio ai loro figli. Nessuna condizione di privilegio, perché ad alimentarlo sono gli statali stessi, con una trattenuta dello 0,35% operata sulle loro buste paga. Un cospicuo tesoretto da circa due miliardi e mezzo di euro l’anno, che però viene usato solo in parte e che puntualmente lascia “briciole” da centinaia e centinaia di milioni, di fatto inutilizzati.
Da qui l’idea, come l’Espresso è in grado di rivelare: trasformarlo in un fondo di rotazione, il meccanismo che utilizza il capitale iniziale come garanzia per tutte le operazioni svolte. In questo modo i beneficiari resterebbero i dipendenti pubblici e lo Stato potrebbe contare su un cospicuo plafond con cui finanziare i prepensionamenti, gli incentivi per la mobilità, la cassa integrazione degli eventuali esuberi e le nuove assunzioni. Insomma, un intervento a costo zero per le casse italiane. Sul fondo continuerebbero infatti ad affluire, oltre alle trattenute sugli stipendi, anche gli interessi pagati da coloro che hanno ottenuto un mutuo o un prestito.
LA CARICA DEI VOLONTARI
L’operazione è ancora allo studio e se andrà in porto non è dato sapere. Certa è invece l’intenzione del governo di spostare il personale della Difesa in eccesso negli uffici giudiziari, dove secondo una recente stima servirebbero almeno 8.500 impiegati. Nei prossimi dieci anni le Forze armate dovranno tagliare 20 mila militari e solo nel 2014 si parla di 289 ufficiali, 1.348 sottufficiali e 1.567 civili. Un serbatoio che potrebbe rinforzare Procure e tribunali per smaltire gli arretrati e combattere la prescrizione, anche se i sindacati – critici per il mancato riconoscimento degli scatti di carriera, attesi da anni – non gioiscono all’idea dell’arrivo dei graduati.
Finora, in mancanza di assunzioni, si è andati avanti col volontariato. Una carica di pensionati, lavoratori socialmente utili, cassintegrati e tirocinanti impiegati a tappare i buchi mentre i fondi erano sempre meno e il Parlamento parlava di tutt’altro, dalla riforma delle intercettazioni alla separazione delle carriere. A Brescia, uno dei casi più gravi, diversi lavoratori andati in pensione hanno deciso di continuare a collaborare gratuitamente e gli assistenti giudiziari, fondamentali nelle udienze, sono costretti ai doppi turni per non far saltare i dibattimenti.
A Cremona fuori dalle aule di giustizia si è fatto ricorso addirittura ai liceali neo-maggiorenni per chiamare nei processi testimoni e periti. A Bologna i pensionati dell’associazione Auser ordinano le richieste di esecuzione esterna dei detenuti affinché il Tribunale di sorveglianza possa esaminarle cronologicamente. A Roma, dove negli uffici del giudice di pace l’arretrato è di oltre 12 mesi, negli ultimi anni sono stati i cassintegrati a inserire i dati al computer per la pubblicazione delle sentenze. Poi, dopo svariate convenzioni con la Provincia e la Regione Lazio, l’accordo non è stato rinnovato.
IL VINCITORE NON VINCE
Quanto la situazione sia grave lo dimostra il bando per la mobilità pubblicato la scorsa estate: per coprire le situazioni più difficili e impedire il collasso di Procure, tribunali e Corti d’Appello, il ministero della Giustizia ha messo a disposizione dei dipendenti degli altri dicasteri 296 posti, da Novara ad Agrigento. Eppure nemmeno questo ha funzionato: solo 184 sono risultati idonei. Un tribunale cruciale come quello di Milano, che avrebbe bisogno di 25 cancellieri, ne ha trovati solo 12. E ancora: 25 assistenti su 55, sei operatori giudiziari su 19 in Procura e appena 6 posti su 28 all’ufficio notifiche.
In realtà se fossero questi i numeri, sarebbe stato un successo. Già, perché di fatto è andata molto peggio: in tutta Italia solo una sessantina di vincitori hanno ottenuto il nulla osta al trasferimento da parte delle amministrazioni in cui lavorano. Che sarebbe un po’ come dire: “Bravi, ce l’avete fatta, ma da qui non vi muovete”. In tempi di magra nessuno vuole privarsi di personale.
L’Espresso – 2 aprile 2014