Le polemiche sono inevitabili, ma il motivo che ha spinto il sindaco di Padova Massimo Bitonci a firmare la cosiddetta ordinanza anti-ebola è presto detto. Dato che «due agenti di polizia in forza alla Questura, a seguito di un servizio inerente l’emergenza profughi, hanno contratto la scabbia», visto che martedì scorso «la Polfer ha accompagnato al settore Sociale del Comune un giovane extracomunitario al quale è stata diagnosticata la scabbia» e aggiunto che «tra alcuni senza dimora erano presenti anche dei portatori di epatite C», non si poteva stare a guardare.
E se nel testo del documento «Misure urgenti per il contrasto al diffondersi di malattie infettive» ci sono i virgolettati riportati qui sopra letteralmente, il cuore pulsante dell’ordinanza arriva qualche riga dopo e impone «il divieto di dimora, anche occasionale, presso qualsiasi struttura di accoglienza, per persone prive di regolare documento d’identità e di regolare certificato medico rilasciato dalla competente Usl attestante le condizioni sanitarie e l’idoneità a soggiornare».
Non solo. La nuova legge di Padova prevede «l’obbligo, da parte dei soggetti privi di regolare permesso di soggiorno ovvero di tessera sanitaria ed individuati nel corso di accertamenti da parte della polizia locale, di sottoporsi entro 3 giorni a visite mediche presso la competente Usl allo scopo di verificarne le condizioni sanitarie, soprattutto in relazione all’eventuale presenza di malattie infettive, quali ad esempio la tubercolosi, l’ebola, la scabbia e l’epatite».
A doversi sottoporre ai controlli dunque sono tutti i clandestini (che comunque, per legge, sono destinati al l’espulsione dal territorio nazionale) e i profughi provenienti da alcuni Paesi asiatici e africani (nell’ordinanza sono elencati Siria, Nigeria, Ghana, Eritrea, Gambia, Sudan e Somalia ma curiosamente mancano i tre Paesi dove in questo momento il contagio di Ebola è più probabile: Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone).
E se non stupisce che da Razzismo Stop alle altre associazioni umanitarie arrivino annunci di impugnazioni o battaglie legale, i dubbi sull’ordinanza non mancano anche da parte di alcuni esponenti di spicco del Carroccio come il segretario regionale Flavio Tosi. «È giusto porre grande attenzione alla tutela della salute ma la firma di un sindaco non può fermare una patologia virale». Il segretario leghista della Marca trevigiana Dimitri Coin però ha deciso di cogliere la palla al balzo per «fare opposizione all’arrivo dei profughi». E allora ben venga l’ordinanza di Bitonci che a Treviso illumina la via come un tempo faceva Giancarlo Gentilini.
«Il territorio non può più farsi carico di questo impegno economico e sociale e i sindaci devono tutelare la salute dei cittadini», conclude Coin a cui fa eco il capogruppo del Carroccio in Regione Federico Caner convinto che «anche i medici sono molto preoccupati perché non c’è solo l’ebola ma anche la meningite, la scabbia e la tubercolosi». Sul versante sanitario però le cose non starebbero proprio così e i medici ci tengono a fare un distinguo tra le diverse malattie. «Non facciamo confusione – dice Zeno Bisoffi, primario del Sacro Cuore di Negrar, il centro di riferimento per le malattie tropicali in Veneto -. L’ebola in questo momento esiste solo in tre Paesi (Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone) e non credo che un’ordinanza che richiede un certificato medico possa servire ad alcunché da un punto di vista sanitario». «Anche perché, sui profughi che arrivano nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum i controlli sanitari vengono fatti già con la massima precisione», conclude il dottor Giacomo Marchese, direttore sanitario dell’Usmaf (l’ufficio del ministero della Salute che si occupa delle frontiere) reduce da un periodo di controlli nel Mediterraneo.
Davide D’Attino e Alessio Antonini – Il Corriere del Veneto – 17 ottobre 2014