«Pagelle» a tutti i dipendenti, in Azienda ospedaliera, operatori sociosanitari, infermieri, medici, primari, dirigenti o amministrativi che siano. Dal primo gennaio «la valutazione della performance individuale», concordata con i sindacati, è stata inserita dal direttore generale Luciano Flor nel «Piano delle performance del triennio 2018/2020». La finalità? «Migliorare i servizi sanitari, razionalizzare l’organizzazione del lavoro e favorire il recupero della motivazione del personale, attraverso il riconoscimento della professionalità e della qualità delle prestazioni individuali».
Il rendimento di ogni dipendente viene monitorato, valutato e comunicato, «al fine di stabilire il contributo del singolo in un contesto generale». Ciò vale per il personale ospedaliero e per quello universitario in convenzione: i documenti relativi alla «valorizzazione individuale» sono archiviati in un centro informatico e possono essere consultati dai «soggetti valutatori» attraverso un’utenza personale. Se il dipendente non è d’accordo con il «voto» preso, può fare ricorso a un collegio di tre componenti. «Chi non raggiunge la sufficienza, perde il premio di produttività se appartiene al comparto o di risultato se è un medico — spiega Giancarlo Go’ della Cgil —. Per un infermiere, per esempio, il premio di produttività ammonta a 1400 euro l’anno: se centra gli obbiettivi ne ottiene il 100% e sennò l’importo scala a seconda della valutazione. Credo però che non siano questi modesti incentivi a motivare il personale dell’Azienda ospedaliera, stanco per un superlavoro cronico legato anche al sottorganico. Il comparto conta 4mila unità, 2200 sono infermieri, ma ne mancano ancora cento. Sarebbero più motivati se non fossero continuamente richiamati in servizio per carenza di queste figure professionali — aggiunge Go’ — se potessero usufruire dei riposi previsti e avere il tempo di garantire la giusta assistenza a ogni malato. Il problema è che se anche arrivano colleghi nuovi dai concorsi, dopo un mese se ne vanno, perchè i ritmi di lavoro sono esagerati».
La radiografia dell’Azienda ospedaliera, nata nel 1995 dallo scorporo dell’allora Usl 21, è quella di una struttura «ad alto contenuto tecnologico e assistenziale», un polo di rilievo nazionale e di alta specializzazione, un centro hub regionale e uno snodo di integrazione tra assistenza, didattica e ricerca. Dal 2014 al 2017 i ricoveri ordinari sono aumentati da 45.502 a 48.852, quelli diurni (Day Hospital e Day Surgery) sono invece scesi da 14.299 a 10.953, per un totale che rimane pressoché invariato: 59.801 nel 2014 e 59.805 nel 2017. Il valore economico delle degenze è di 264.933.367 euro, con una permanenza media di 7 giorni e una mobilità extra-regionale (malati che arrivano da fuori Veneto) del 10,4%. Le prestazioni specialistiche (esclusa la libera professione dei medici) per gli esterni, cioè i non ricoverati, l’anno scorso sono state 6.972.084 (contro i 7.082.452 di quattro anni fa), per un valore di 100.823.590 euro. Infine gli accessi al Pronto soccorso: 112.125, in salita rispetto ai 108.111 del 2014.
Il Piano delle performance, concordato con l’Università, rivela infine il costo della produzione: aumenta la spesa per il personale (210.849.373 euro invece dei 203.813.962 del 2014), così come quella per i farmaci, attestata su 204.325.381 euro (erano 176,6 milioni quattro anni fa). (M.N.M.)
CORRIERE DEL VENETO – Domenica, 04 febbraio 2018