Caso-limite all’azienda ospedaliera di Padova, la dipendente si è rivolta ai sindacati
PADOVA. Un paradosso della burocrazia rimette in discussione l’intera partita del part time nell’organizzazione del lavoro all’azienda ospedaliera. di Padova. Il nuovo direttore generale Claudio Dario apre uno spiraglio su di una questione che ha scatenato uno tsunami di polemiche in via Giustiniani e in via Scrovegni. Tra i mille contratti a tempo ridotto stracciati dall’amministrazione Cestrone, ne è sbucato uno che ha scatenato l’ira del sindacato Uil: l’azienda ospedaliera ha costretto a tornare full time una donna malata di sclerosi multipla.
Nel 1976, giovanissima, ha scoperto di essere affetta dalla grave malattia neurodegenerativa, ma non si è lasciata abbattere. Nonostante le difficoltà ha trovato un lavoro, un posto da operatore tecnico in azienda ospedaliera. Unico “lusso” che si è concessa, un contratto part time, a partire dal 1998.
Ora, lo stesso ospedale che le ha diagnosticato la malattia, che la cura, che la tiene sotto controllo, ha deciso che non ha più i requisiti per un contratto a tempo ridotto. Il 19 dicembre 2012, quando ancora era direttore generale Adriano Cestrone, le è arrivata la lettera in cui le viene comunicato che dall’1 febbraio dovrà tornare a lavorare full time. La documentazione medica presentata, secondo la missiva, non è sufficiente per guadagnare un posto in graduatoria. «Non sussistono i requisiti che giustificano il mantenimento del contratto di lavoro a part time»: è lapidaria la frase con cui Cestrone ha stracciato l’accordo siglato quindici anni prima. Lei, forte di cartelle cliniche che testimoniano “l’incrementata affaticabilità con difficoltà a mantenere a lungo la stazione eretta e la necessità di pause durante la giornata”, si è rivolta a Luigino Zuin e a Stefano Tognazzo della Uil.
I sindacalisti hanno immediatamente puntato il dito contro l’amministrazione: «Chiediamo un intervento di Claudio Dario” scrivono, «teso a conservare il part time alla dipendente. Una richiesta che, purtroppo, non si configura come un vezzo, ma un’inderogabile necessità. Obbligarla a ritornare a tempo pieno comporterà uno stress psicofisico, con possibile riacutizzazione della malattia».
La risposta di Dario è giunta a stretto giro: «Per il rientro a tempo pieno dei lavoratori part time, la nuova direzione si riserva di procedere a un’ulteriore istruttoria delle diverse situazioni per venire incontro alle esigenze dei singoli e dell’azienda ospedaliera».
Il Mattino di Padova – 23 gennaio 2013