Pancetta fresca, con marchio sbiadito e non identificabile, destinata a un salumificio veronese che probabilmente l’avrebbe trasformata in mortadella. E yogurt «Valgardena» (scritto in italiano, ma proveniente dalla Germania), diretto anch’esso nella nostra provincia. I consigli dell’Ulss 20
Sono pieni di sorprese i Tir fermi al Brennero che vengono ispezionati da Polizia, carabinieri del Nas (Nucleo antisofisticazione) e Guardia di finanza mentre prosegue la mobilitazione di almeno duemila produttori di Coldiretti in difesa del made in Italy. Sorprese che poi finiscono sulle nostre tavole, il più delle volte a norma di legge. È la globalizzazione, che rende difficile ai consumatori poco attenti distinguere il prodotto italiano dal finto italiano. Made in Italy, uno specchio per le allodole. «Anche la mortadella fatta secondo il capitolato del Consorzio di tutela contiene spezie non autoctone», puntualizza Riccardo Murari, medico veterinario, direttore del Servizio igiene e alimenti di origine animale dell’Ulss 20, cui competono i controlli ufficiali sugli alimenti destinati al consumo umano. Furono i tecnici dell’Ulss, una decina di anni fa, a scoprire partite di tonno, proveniente dall’Olanda, particolarmente rosso. «Si scoprì che era l’esito del trattamento col monossido di carbonio», ricorda il veterinario, «e per questo controllammo a tappeto tutte le partite provenienti dai Paesi Bassi. Fummo denunciati per blocco di attività commerciale. Per fortuna il ministero riuscì a far valere le sue ragioni a Bruxelles». Un aneddoto per dimostrare quanto sia difficile pretendere chiarezza sulla provenienza di ogni ingrediente dei prodotti alimentari che consumiamo nelle nostre abitazioni, ogni giorno.«La sicurezza alimentare», spiega il dottor Murari, «è oggetto di regolamenti europei validi per tutti i Paesi membri. Ci sono commissioni di esperti che fanno controlli a tappeto per verificare il rispetto delle norme europee. Nella nostra provincia, ad esempio, i commissari sono venuti a controllare la carne di cavallo e presto torneranno per il vino. In Italia vi è una garanzia in più data dagli Uvac, uffici veterinari per gli adempimenti comunitari, che controllano la rete di distribuzione. Direi che dal punto di vista della sicurezza alimentare i controlli in Europa sono buoni. Salvo sorprese come la carne di cavallo finita nel ragù di manzo».Altra questione la tutela del made in Italy, dei prodotti che hanno reso inimitabile la gastronomia nostrana.«La norma obbliga la tracciabilità», spiega Murari, «ma non è previsto l’obbligo di comunicarla per tutta la filiera. Prendiamo un ragù alla Bolognese fatto in Slovenia: si definisce tale perchè si riferisce alla ricetta originale, ma gli ingredienti non sono italiani. Ma nemmeno il ragù alla Bolognese fatto da un’azienda di Modena è interamente made in Italy: sicuramente contiene ingredienti di provenienza estera trasformati. Un altro esempio: la quasi totalità della bresaola confezionata che mangiamo con gusto, specialmente d’estate, arriva dal Brasile».Come tutelarci? «Bisogna imparare a leggere le etichette», ammonisce il veterinario, «ma purtroppo da questo punto di vista l’italiano medio è un analfabeta. Eppure è un ottimo strumento di tutela: per i prodotti di origine animale è obbligatorio indicare la provenienza, ossia la sede dello stabilimento».Fatta la legge, trovato l’inganno. Come conferma il dirigente dell’Ulss 20: «Io produttore indico il mio indirizzo e mi rendo responsabile dei prodotti, che posso fare dove voglio, senza specificare». Non lo dice lui, ma noi: assurdo. «Ben venga la protesta dei produttori agricoli al Brennero», conclude Murari, «se porterà a una maggiore tutela dei prodotti». Ma anche noi consumatori dobbiamo svegliarci: occhio alle etichette. Sempre.
Paola Colaprisco – L’Arena – 9 settembre 2015