Parte il Redditometro, così i controlli del Fisco su più di 100 voci di spesa. Il testo del decreto e le tabelle
Nuovo redditometro ad ampio raggio. Il Fisco darà la caccia agli evasori determinando sinteticamente il loro reddito e andando oltre le “cento” voci di spesa fino a oggi rese pubbliche. Lo prevede, di fatto, il decreto del ministero dell’Economia pubblicato oggi sulla «Gazzetta Ufficiale» che individua il contenuto induttivo degli elementi indicativi della capacità contributiva delle persone fisiche sulla base del quale gli uffici finanziari potranno fondare la ricostruzione sintetica del reddito complessivo. Dalla collezione di francobolli alle utenze, dai cavalli ai natanti: una radiografia completa ed esaustiva dei consumi degli italiani per determinare, con la massima precisione possibile, l’entità del reddito che può averli generati. Il testo del decreto. Tabella A/ Consumi. Tabella B/ Nuclei familiari
Il Fisco, dunque, cerca di lasciarsi le mani libere nel dare la caccia agli evasori con l’accertamento sintetico e oltre alle voci di spesa riportate nella tabella A allegata al nuovo decreto, prevede espressamente (articolo 1, comma 6) che nella determinazione del reddito «resta ferma la facoltà dell’agenzia delle Entrate di utilizzare, altresì: elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A, qualora siano disponibili dati relativi alla spesa sostenuta per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento». Non solo. L’amministrazione potrà anche verificare altre quote di risparmio formatesi nell’anno. Qualora, poi, mancasse un riferimento stimato dall’Istat, nella determinazione del valore induttivo il Fisco potrà ricorrere ad analisi e studi socio economici, anche di settore. È il caso, ad esempio, delle spese per imbarcazioni, aerei o cavalli.
Per quanto riguarda le difese sarà il contribuente a dover dimostrare che il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta, redditi esenti o comunque esclusi dalla base imponibile o perché c’è stato il contributo di altri soggetti. Inoltre il contribuente potrà contestare e dimostrare il differente ammontare delle spese che il Fisco gli attribuisce.
L’amministrazione finanziaria tra febbraio e i primi giorni di marzo, come di prassi, metterà a punto le liste selettive dei contribuenti a rischio evasione e da sottoporre ad accertamento. E da marzo – come già annunciato – il redditometro 2.0 entrerà a pieno regime per stanare gli evasori a partire, come ricorda l’articolo 5 del Dm Economia, «dai redditi e dai maggiori redditi relativi agli anni di imposta a decorrere dal 2009».
La tabella A è il “cuore” del nuovo redditometro e dello stesso accertamento sintetico del Fisco. Ogni singolo elemento indicativo di capacità contributiva riportato nella prima colonna della tabella indica di fatto la spesa sostenuta dal contribuente per l’acquisizione di beni con tanto di relativi costi di mantenimento. Il valore da attribuire a ogni singola voce, tecnicamente definito come “contenuto induttivo” è determinato – come si legge sempre nell’articolo 1 – sulla base della spesa media per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente. In sostanza si tratta della spesa media che emerge dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel programma statistico nazionale effettuata sulla base di campioni significativi che appartengono a 11 tipologie di nuclei familiari distribuite in cinque aree territoriali (tabella B allegata al Dm).
Il Fisco prenderà come riferimento il valore più elevato tra quello disponibile nell’Anagrafe tributaria e quello determinato sulla base della spesa media rilevata dall’Istat o, come detto, da analisi e studi socio-economici. Inoltre il decreto fissa anche i cinque criteri che saranno adottati dagli uffici dell’Agenzia nel determinare il reddito complessivo accertabile del contribuente. Si parte con l’ammontare delle spese della tabella A o anche diverse che risultano sostenute dal contribuente. Ci sono poi la quota parte attribuibile al contribuente della spesa media Istat riferita ai consumi del nucleo familiare, così come l’ammontare delle ulteriori spese riferite a beni e servizi presenti nella tabella A ma determinati sulla base di studi e di analisi socio economiche, nonché la quota relativa agli incrementi patrimoniali cui si va ad aggiungere, infine, la parte di risparmio formatasi nell’anno.
Al setaccio più di 100 spese
Dalla collezione di francobolli alle utenze, dai cavalli ai natanti. Una radiografia completa ed esaustiva dei consumi degli italiani per determinare, con la massima precisione possibile, l’entità del reddito che può averli generati. E se il “dichiarato” non trova corrispondenza in consumi che non possano essere “giustificati” si accende la luce rossa del Fisco. Con conseguenze ben diverse dall’ormai superato (e anche inutile, a questo punto) Redditest.
Il redditometro che misurerà la correttezza delle dichiarazioni dei redditi a partire dall’anno di imposta 2009 (quindi i redditi dichiarati nel 2010) di prossima pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», schederà oltre cento voci di spesa senza trascurare nulla che possa essere acquistato da una persona fisica. E se all’inizio della storia del redditometro, nel 1992, le voci di spesa erano essenzialmente aerei, imbarcazioni, autoveicoli e immobili, dopo ventuno anni le cose sono radicalmente cambiate.
E nulla sfuggirà alla lente dell’amministrazione finanziaria che potrà basarsi, per ricostruire il reddito personale, sia su dati puntuali (ad esempio contenuti nelle stesse dichiarazioni dei redditi oppure, ad esempio, tratti dalle bollette pagate per le utenze) sia su valori ricavabili dall’anagrafe tributaria. In ogni caso, per la stragrande maggioranza dei casi, se questi valori non fossero disponibili ci sono sempre le spese medie – per singola voce – calcolate dall’Istat per ciascuna delle 11 tipologie familiari di appartenenza. Per cui diventa davvero difficile uscire dal rapporto di coerenza che vi deve essere tra ciò che si è speso e ciò che si è guadagnato; una situazione aggravata dal fatto che che ai fini della determinazione sintetica del reddito, per le spese indicate nella tabella A del decreto ministeriale, si considera sempre «l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi realizzata dall’Istat o da analisi ne studi socio economici, anche di settore». Con la conseguenza che la posizione fiscale del contribuente può finire, quanto a sostenibilità “tributaria” delle spese affrontate, in mano ad analisi o studi socio-economici di non precisata provenienza. Di cui poi non sarà semplice, eventualmente, provarne l’erroneità per “difendere” la propria dichiarazione dei redditi. E tutto questo con effetto per le spese effettuate nel 2009 (e rapportate ai redditi percepiti in quell’anno e dichiarati nel 2010), dunque oltre tre anni prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale che ridisegna il redditometro.
Le spese prese in esame dal fisco sono tutte quelle che una famiglia può sostenere spesso con un dettaglio (come capita per le riparazioni, reali o ipotetiche che siano, di auto, moto, caravan, camper e minicar) che si spinge a valutare pezzi di ricambio, olio e lubrificanti. I consumi sono ripartiti in dieci macroaree (alimentari e bevande; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi) a cui si aggiungono gli investimenti. Questi ultimi sono valutati come incremento patrimoniale secco (le presunzioni e i valori Istat in questo caso non hanno senso) e riguardano: immobili; beni mobili registrati (autoveicoli ma anche natanti, imbarcazioni e aeromobili); polizze assicurative; contributi previdenziali volontari; azioni e titoli di varia natura (inclusi i buoni postali, i certificati di deposito e i pronti contro termine ma anche oro, numismatica e filatelia). E per il ministero dell’Economia sono “investimenti” anche le spese in oggetti d’arte e antiquariato, ma anche le manutenzioni straordinarie e le erogazioni liberali.
Il Sole 24 Ore – 4 gennaio 2013 – riproduzione riservata