La malasanità costa al servizio sanitario milioni in risarcimenti, ma ancora di più la medicina difensiva (test inutili, interventi chirurgici effettuati solo con la massima sicurezza, ricoveri al pronto soccorso anche se non servono), degenze prolungate: ben 13 miliardi di euro all’anno. La situazione rischia di peggiorare ora per nuove norme che riguardano l’obbligo di assicurazione. Perché le regole non sono uguali per tutti. Da ieri (15 agosto) partono le nuove norme: assicurazione obbligatoria per i professionisti della sanità e per le strutture private. Circa 200 mila medici dovranno essere coperti per la responsabilità civile sanitaria, pena una sanzione disciplinare. Quelli delle strutture pubbliche (115 mila), invece, non saranno interessati.
Devono solo stipulare una polizza che li protegga nei soli casi in cui si verifichi la «colpa grave», per un valore intorno ai 400-500 euro all’anno.
L’obbligo di assicurazione per il pubblico non è poi proprio un obbligo. Aziende ospedaliere, Asl, Regioni possono adottare anche l’autoassicurazione. Cioè non pagare polizze, ma accantonare un fondo per eventuali risarcimenti. Se la responsabilità è della struttura. Se la responsabilità è del medico, non è chiaro chi paga quando la colpa non è grave.
Forte la preoccupazione degli specialisti più esposti. I ginecologi su tutti, per i quali i premi assicurativi potrebbero arrivare anche a 20 mila euro annui. E i giovani che non hanno certo entrate tali da poter pagare polizze molto care. Per tutelare queste figure, entro fine anno il ministero della Salute dovrebbe istituire un «fondo di solidarietà».
Duri i chirurghi. Diego Piazza, presidente dell’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), attacca: «I medici saranno costretti ad assicurarsi in proprio, ma le Asl, di fatto, non avranno l’obbligo di assicurarsi perché potranno scegliere forme di autoassicurazione. Con pesanti conseguenze per i pazienti». In Italia, peraltro, la malasanità è un’emergenza secondo una ricerca comparata su 18 sistemi europei svolta dall’università di Goteborg: l’Italia è nella parte bassa della classifica. E ogni anno un milione e 200 mila italiani migrano all’estero per farsi curare.
Interviene Giampiero Maruggi, direttore dell’azienda ospedaliera San Carlo di Potenza e vicepresidente vicario della Federazione italiane delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso). «Noi in Molise abbiamo scelto l’autoassicurazione. I pazienti devono stare tranquilli perché i medici sono comunque coperti. Certo pero che se la colpa è solo loro e la struttura non c’entra…».
Al momento il mercato polizze è per due quarti appannaggio di compagnie estere (a volte con capitali di copertura irrisori) che agiscono in Libera prestazione di servizi (Lps). Un altro quarto è il «fai da te» di Regioni o ospedali. In allerta Cittadinanza attiva, voce dei pazienti. Spiega il segretario generale Antonio Gaudioso: «Bene l’obbligo, ma c’è ora il pericolo di una disomogeneità delle effettive coperture con il rischio che siano poi i cittadini a pagarne il conto».
E i famosi uffici legali a caccia di episodi di malasanità? Roberto Simioni, presidente di Obiettivo risarcimento (Or), interviene: «Noi siamo una società (composta di medici, legali e tecnici) che si occupa di tutoring dei danni alla persona finalizzata all’ottenimento di un giusto risarcimento anche dopo un danno da malpractice . Selezioniamo attentamente i casi da seguire, approfondendo solo il 10% delle 8.000 richieste che arrivano ogni anno (dati 2013). Purtroppo, l’assenza di riferimenti certi in tema di malasanità ha reso di fatto impraticabile una corretta funzione assicurativa perché mancano dati accertabili e verificabili».
Come negli Stati Uniti dove si applica una sorta di bonus e malus, con sconti per i più bravi.
Mario Pappagallo – Corriere della Sera – 16 agosto 2014