In 5mila Comuni su 8mila non c’è il numero minimo di compravendite che serve a offrire una base statistica solida, per cui i valori del nuovo Catasto saranno spesso calcolati su aree più vaste del previsto: e questo è solo uno degli ostacoli da superare per la riforma dei valori fiscali degli immobili, chiamata a riclassificare e rivalutare tutto il patrimonio italiano in una maratona che conoscerà le prime fasi nella seconda metà del 2015, ma arriverà al traguardo solo a fine 2019.
I dati, a quanto risulta al Sole 24 Ore, sono emersi nel corso dei lavori preparatori in vista del secondo decreto attuativo della riforma, che dopo la definizione delle commissioni censuarie entrerà nel vivo con questo nuovo provvedimento in preparazione (si prova a portarlo in Consiglio dei ministri entro gennaio, ma il risultato non è scontato). Senza contare che il primo decreto, quello sugli organi che valideranno le “funzioni catastali”, misteriosamente non è stato ancora pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» a oltre un mese dalla sua approvazione.
Tra gli aspetti principali del decreto numero due c’è la definizione delle nuove categorie catastali, che divideranno gli immobili in due maxi-gruppi: quelli a destinazione «ordinaria», che in otto categorie (da O/1 a O/8) catalogheranno le abitazioni (distinguendole fra quelle in palazzi, quelle in villette e «abitazioni tipiche», uffici e studi, cantine, posti auto, negozi e magazzini, e quelli «a destinazione speciale», articolati in 18 categorie a seconda del tipo di attività degli impianti (energia, miniere, industria, logistica, ambiente) o degli immobili occupati da servizi (direzionali, commerciali, scuole, sanità e così via; si veda anche l’altro articolo in pagina).
Ma i risultati concreti di questa attività dipenderanno soprattutto dagli ambiti territoriali entro i quali verranno inseriti i nuovi valori, e qui si incontrano i problemi più importanti. Il catasto del futuro, infatti, dovrà attribuire a ogni immobile valori in linea con quelli del mercato, ma a causa della crisi dell’edilizia in molte aree del Paese questo mercato non c’è più.
Dati mancanti
Attualmente, infatti, le zone censuarie sono, soprattutto nelle città, molto grandi e quindi la stessa tipologia immobiliare ha lo stesso valore anche se in quartieri assai diversi. Nel nuovo decreto dovrebbero essere ufficializzate le zone Omi, quelle definite dall’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’agenzia delle Entrate (ex Territorio). Ma c’è un problema.
Nel 2011-2013, triennio che la delega chiede di adottare come base di riferimento per calcolare i valori fiscali degli immobili, le compravendite sono scese del 24%, rispetto ai tre anni precedenti, e secondo i calcoli delle Entrate in 5.158 Comuni, cioè in quasi il 64% dei casi, ci sono state meno di 100 transazioni. In queste condizioni, fissare i valori ufficiali delle varie tipologie di immobili diventa impossibile.
Soluzione possibile
Ci vorrebbe molto più tempo del previsto di quanto prevede la delega fiscale per raccogliere dati sufficienti, per cui l’unica alternativa sembra essere rappresentata dall’allargamento delle zone, che in alcuni casi potrebbero estendersi fino all’intera Provincia. Questi accorpamenti costituiranno gli ambiti territoriali entro i quali saranno applicati gli stessi algoritmi di calcolo dei valori catastali.
In questo modo si assumerebbero come campione significativo i pochi immobili di cui si dispongono valori certificati, adattandoli poi a tutti gli altri con un intrico di accorgimenti statistici nel difficile tentativo di “apprezzare” le caratteristiche di ogni fabbricato (posizione, tipologia edilizia, stato di conservazione e presenza di ascensore) e di ogni unità immobiliare (superficie, livello di piano e affaccio).
Vista la tensione che accompagna ormai da anni ogni movimento del fisco sul mattone, non è difficile immaginare che i valori prodotti da una procedura di questo tipo possano finire al centro di contenziosi infiniti, attivati da proprietari che non ci stanno a pagare più tasse a causa di una statistica.
Tempi
Difficili anche i tempi di attuazione della riforma. Solo in 60 Province su 100, secondo le Entrate, il campionamento e le stime potranno partire dal luglio prossimo, mentre negli altri casi bisognerà aspettare un anno in più. La costruzione delle funzioni statistiche si completerà quindi solo a giugno 2018, mentre le stime dirette si dovranno ultimare entro giugno 2019 se si vuole determinare la base imponibile entro fine 2019 e applicare il Catasto riformato dal 2020: anche in questo caso, comunque, sarebbero passati sette anni dal varo della legge delega.
Il Sole 24 Ore – 5 gennaio 2015