Un pacchetto di tutele, dalla maternità alla garanzia dei pagamenti, disegnato appositamente per i lavoratori autonomi economicamente dipendenti, ossia le partite Iva dei giovani cosiddetti lavoratori della conoscenza, dai consulenti ai programmatori, ai designer. Potrebbe essere questa la vera novità del decreto delegato sul riordino dei contratti sul quale stanno lavorando i tecnici del governo in vista dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri il 20 febbraio.
L’obiettivo, in generale, è provare a separare nettamente tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, eliminare la zona grigia del lavoro parasubordinato che facilmente scivola nell’abuso. Fine dei finti co.co.pro e delle false partite Iva. Questo è il “disboscamento” di cui ieri ha parlato anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Accanto all’introduzione di alcune specifiche forme di tutela (compresa la malattia) per chi svolge un’attività indipendente in condizioni però di sostanziale debolezza sul mercato, con un reddito che per esempio non superi i 30 mila euro lordi l’anno. Resteranno i contratti di collaborazione solo per alcune figure come gli amministratori di società o i sindaci che sono una minoranza di una categoria che ormai raggiunge circa le 700 mila persone.
Il perno del lavoro subordinato sarà costituito dal contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, fortemente incentivato sul piano fiscale e contributivo e senza più il vincolo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti. Rimarrà il contratto a tempo determinato ma si sta discutendo, dopo la liberalizzazione avviata con il “decreto Poletti”, di ridurne la durata da 36 a 24 mesi per evitare il rischio che si trasformi in un lungo periodo di prova. Via anche al contratto di associazione in partecipazione e a quello intermittente che dovrebbe essere sostituito con l’estensione dell’uso dei voucher. Un riordino che questa volta troverà l’opposizione delle imprese, in particolare di quelle che operano nel settore del turismo, della ristorazione e del commercio, dove il ricorso a quelle tipologie contrattuali è più frequente. Già a dicembre la Confcommercio aveva elaborato un documento nel quale chiedeva il mantenimento di tutte le forme contrattuali previste dalla “legge Biagi”. La sponda alle imprese arriverà dall’”ala destra” della maggioranza di governo. Maurizio Sacconi (Ncd), presidente della Commissione Lavoro del Senato: «La sinistra persevera nell’errore di attribuire la precarietà del lavoro alle tipologie contrattuali che spesso al contrario sono il modo con cui dare regolarità a lavori sommersi o incoraggiare attività che altrimenti non si produrrebbero». È invece dalla sinistra del Pd che viene (per ora) il sostegno alla linea del governo. Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro a Montecitorio: «Se al centro del Jobs act c’è, come ha detto il governo, il contratto a tempo indeterminato, contestualmente a una diminuzione della tutela nel caso di licenziamento e di allungamento della durata dell’indennità di disoccupazione, è giusto che si vada al disboscamento delle forme di lavoro più precarie»
Repubblica – 5 febbraio 2015