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Patto globale per i vaccini. Dal G7 i fondi per i Paesi poveri. I leader stanziano 6,2 miliardi di euro: “Il 2021 una svolta”

Repubblica. Sembra passata un’epoca dalla fuga di Donald Trump dal vertice Nato un anno fa a Watford o dalla sua assenza al G20 sulla pandemia in novembre per giocare a golf. Perché il pre-vertice del G7 di ieri, con inediti protagonisti come Joe Biden e Mario Draghi, ha aperto un nuovo capitolo della diplomazia contemporanea. Lo si evince sin dalle prime righe del comunicato congiunto del mini-summit virtuale organizzato ieri da Boris Johnson in attesa del G7 vero, in giugno in Cornovaglia: «Basandoci sui nostri valori di Paesi ed economie aperte e democratiche, lavoreremo insieme affinché il 2021 rappresenti il punto di svolta del multilateralismo nel mondo».
Già, una svolta rispetto al recente passato. È il primo, incoraggiante successo di un G7 molto collaborativo, in nome di uno sforzo comune non solo per i propri Paesi, ma per il mondo. Un’alleanza democratica globale per la ripresa economica, il ritorno alla normalità post Coronavirus, la difesa dell’ambiente. Primo, urgente obiettivo: la lotta alla pandemia Covid. Per cui i leader dei “Big Seven” hanno rispettato promesse e premesse: il G7 ha raddoppiato il suo impegno per i vaccini nei Paesi in via di sviluppo grazie ai programmi dell’Oms, Covax e Act-A, stanziando fino a 6,2 miliardi di euro (Usa in testa con 3,3 miliardi). Soddisfatto Macron, il quale anche ieri ha esortato a non lasciare campo in Africa ai vaccini di Russia e Cina. Mentre Johnson ha ribadito la volontà di donare il surplus di dosi britanniche.
Proprio i vaccini, tema molto sentito da Draghi che vuole ripetere in Italia la capillare campagna di immunizzazione in Regno Unito, sono stati al centro di questo mini G7: i leader si sono accordati per rafforzare l’Oms, raccordare sempre di più gli sforzi di prevenzione, ricerca e cura contro nuove pandemie, incluso il progetto di nuovi sieri realizzati entro cento giorni, affinché la crisi del Covid “non si ripeta mai più. Perché, in vista del prossimo vertice sulla Sanità Globale a Roma, è fondamentale dare slancio a una ripresa prospera e sana”. Come hanno poi ribadito Draghi e Merkel: «Salute è bene globale, leadership è solidarietà ».
Ma la convergenza dei Sette è stata ampia anche su altri temi, vedi il clima, per cui l’Italia è in prima linea con il Regno Unito in quanto co-organizzatori del vitale vertice Cop26 a Glasgow in novembre, dopo il ritorno degli Usa del presidente Biden negli accordi di Parigi sull’ambiente. Obiettivo comune: zero emissioni entro il 2050. Sì alle Olimpiadi di Tokyo in estate. E poi il comune fronte democratico e liberale: i leader promettono di sostenere le economie e le società aperte, una crescita globale basata sul libero ed equo commercio, ed è esplicito l’avvertimento alla Cina, per cui il G7 si ripromette di «affrontare» le sue politiche economiche «non orientate al mercato». Nell’ambito dei valori democratici, Johnson ha ricordato anche il sostegno dei Sette per la leader birmana Aung San Suu Kyi e l’oppositore ant-Putin Sergej Navalnji.
C’è la sensazione che ieri, nonostante il vertice da remoto, si sia ricomposto qualcosa di importante nell’asse occidentale e democratico, insieme a una rinnovata aura di potenza per quei 7 grandi che ancora inglobano quasi metà dell’economia mondiale. Lo si nota anche nelle parole utilizzate, come quel “Build back better”, ossia “ricostruire” subito e meglio dopo la pandemia, motto lanciato da Johnson e oggi condiviso da Biden in America e da Draghi in Italia. E anche quando Boris, che alla successiva conferenza di Monaco ha definitivamente scaricato l’ex amico Trump, si è permesso di chiedere a Merkel di silenziare il microfono in videocall, fa niente. In altri tempi, sarebbe stata bollata come una cafonaggine di Johnson. Ieri, invece, tra i Sette Grandi regnava l’armonia, finalmente.

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