Patto per la salute: si aprono i giochi. Mercoledì 30 ottobre è stata fissata dalla conferenza dei presidenti una riunione straordinaria monotematica in seduta riservata sul «nuovo Patto per la Salute» (la convocazione ufficiale è pubblicata sul sito www.regioni.it).
In questa riunione, che arriva subito a ridosso della legge di stabilità “senza tagli” alle risorse per i Lea, i governatori dovranno fare il punto sui risultati dei dieci tavoli di lavoro decisi prima dell’estate e fare in modo che da questi partano precise proposte da condividere per dare il via alla scrittura vera e propria del Patto con precisi mandati. Un’operazione che non potrà andare oltre le due settimane: l’obiettivo è portare al tavolo con il Governo entro la prima metà di novembre una proposta per potersi confrontare e chiudere i giochi entro la fine del mese prossimo, al massimo nella prima metà di dicembre.
«Abbiamo il dovere nei confronti dei cittadini di chiudere il Patto», ha rafforzato Beatrice Lorenzin in occasione dell’audizione alle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera sulla sostenibilità del Ssn. Sottolineando che il Patto permette «la riprogrammazione» della sanità «per mettere in sicurezza il sistema non solo finanziariamente ma anche nei livelli essenziali di assistenza».
Per Lorenzin la sfida si vince «combattendo soprattutto gli sprechi». E ora tocca alle Regioni pensare a come farlo, rispettando l’impegno preso a suo tempo di mettere mano al Patto se il Governo avesse lasciato indenne dalla leze di stabilità 2014 le risorse del Ssn.
I tempi sono stretti: il Patto dovrà arrivare al più tardi in contemporanea con l’approvazione della legge di stabilità e, comunque, non oltre la metà di dicembre. Due mesi di lavoro intensi per i governatori che dovranno riavvolgere i fili della matassa sciolta con la definizione dei dieci tavoli di lavoro decisi prima dell’estate e fare in modo che da questi partano precise proposte da condividere in sede politica tra tutte le Regioni per dare il via alla scrittura vera e propria del Patto. Un’operazione che non potrà andare oltre le due settimane: l’obiettivo delle Regioni è portare al tavolo con il Governo entro la prima metà di novembre una loro proposta per potersi confrontare e chiudere i giochi entro la fine del mese prossimo. La parola d’ordine è «sostenibilità»: non ci sono state riduzioni delle risorse per il 2014 e gli anni successivi, ma la dimensione economica è comunque rimasta quella attuale, rispetto alla quale molte Regioni arrancano, ma dentro la quale sarà obbligatorio rimanere, anche se il trend della spesa sarebbe fisiologicamente in aumento.
Sarà compito delle Regioni trovare in queste settimane strumenti che diano soste-nibilità al sistema. E dovranno farlo naturalmente senza tagli, ma con misure forti in una prospettiva pluriennale per tutti gli anni di vigenza del Patto. Sgombrando il cielo dalle nuvole che si sono finora addensate su alcuni provvedimenti come il riparto federalista 2013 basato sulle Regioni benchmark. La scelta delle cinque tra cui decidere le tre di riferimento non piace ai governatori e la Toscana ha già rilanciato proponendo di ampliare il panel a otto Regioni. Ma si dovrà fare in fretta perché l’anno è ormai al termine e le risorse sono ancora tutte da assegnare.
I settori su cui agire con il Patto sono molti. Primo tra tutti quello di una rimodulazione dei Lea che non tolga alcuna prestazione ai cittadini – assicurano le Regioni – ma garantisca loro solo quelle efficaci e innovative. Poi c’è sempre la spesa farmaceutica, da razionalizzare in modo che sia omogenea in tutte le Regioni. E l’assistenza ospedaliera: al di là del prowedimento sui nuovi standard rimasto al palo e che comunque si riaffaccerà nel Patto, l’obiettivo delle Regioni è anche di incrociare i risultati del Programma nazionale esiti per rivedere e regolamentare in maniera forte (non lasciata alla volontà delle singole Regioni/aziende) volumi di attività, organizzazione del personale, sicurezza e qualità dell’assistenza. Un esempio per tutti: le linee guida sui punti nascita – e gli esiti lo confermano – hanno indicato che la sostenibilità minima si raggiunge con almeno 500 parti l’anno e che l’ottimale sarebbero 1.000 parti, ma ancora in molti casi questa regola non è rispettata. Si dovranno allora riconvertire i piccoli punti nascita per dedicarli a un’attività ambulatoriale, dando spazio a chi l’assistenza può erogarla in piena sicurezza. E Lorenzin ha fatto i conti: con l’appropriatezza dei ricoveri si potrebbero risparmiare fino a 5 miliardi l’anno. O ancora le cure primarie che non significano solo medici di base, ma nell’ottica regionale riguardano anche la riconversione dei piccoli ospedali in strutture intermedie i cui letti non rientrano nel calcolo generale di quelli da ridurre. E che potranno essere riferimenti utili anche per un’integrazione sociosanitaria che le Regioni ritengono indispensabile per domiciliarità, non autosufficienza e per tutto il personale (a partire da quello infermieristico) da dedicare a questo tipo di attività. Proprio per il personale dovranno essere messe in campo poi regole che consentano di livellare la spesa oggi diversificata, come ha rilevato un recente studio della Stem (v. Il Sole-24 Ore Sanità n. 34/2013) con un range tra Regioni che raggiunge i 30mila euro, mentre all’interno della stessa Regione si raggiungono anche i 50mila euro. Per i beni e servizi diventano indispensabili le centrali uniche di acquisto che nelle Regioni più piccole potranno – anzi dovranno – essere interregionali
La sfida è aperta. E la palla è sui piedi dei governatori che dovranno giocarla anche al tavolo della trattativa con il Governo, perché se si dovrà rimodulare l’offerta rispetto alle proposte delle Regioni ci sarà da rivedere qualche altro capitolo: le risorse sono quelle e da quelle non si scappa.
Il Sole 24 Ore Sanità – 22 ottobre 2013