Far salire di almeno il 10-15% nel medio periodo il peso della previdenza integrativa nella “copertura pensionistica” complessiva dei lavoratori. Anche se il Governo mantiene il riserbo sulle opzioni e le finalità del pacchetto-pensioni allo studio senza confermare alcuna ipotesi, per diversi tecnici potrebbe essere questo uno degli obiettivi dell’operazione che si sta cercando di congegnare nella cabina di regia economia di palazzo Chigi con la collaborazione dei ministeri del Lavoro e dell’Economia. Un’operazione che dovrebbe svilupparsi lungo tre coordinate. A partire da quella che prevede misure per rendere flessibili le uscite (penalizzate) verso il pensionamento e, quindi, con un ritocco alla legge Fornero. Le altre due coordinate alla fine si dovrebbero unire in un’unica linea d’azione. Con anzitutto il rafforzamento del secondo pilastro da rendere nei fatti obbligatorio, con una riduzione di 3-4 punti dell’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi pensioni (è stata elevata al 20% due anni fa)
E l’incremento della deducibilità dei versamenti, la destinazione “obbligata” di almeno una fetta del Tfr ai fondi pensione, una nuova governance (sia per quel che riguarda i gli amministratori dei fondi sia con ridefinizione del ruolo di Covip), e forse anche un legame più marcato tra integrativa e contratti aziendali. A questo intervento seguirebbe, anche in ordine temporale, quello previsto dalla terza coordinata: il taglio di alcuni punti dei contributi previdenziali (per alleggerire il costo del lavoro) eventualmente in parti uguali tra datore di lavoro e lavoratore, che potrebbe essere chiamato a destinarne almeno una parte alla previdenza integrativa per concorrere al completamento alla sua copertura pensionistica che altrimenti potrebbe risultare ridotta.
Per il momento si tratta di una strategia solo abbozzata e suscettibile di variazioni. Ma un obiettivo a Palazzo Chigi è già stato individuato: aumentare il peso della previdenza integrativa e non solo rendendo più appetibile il ricorso ai fondi pensione, ai quali alla fine del 2015, secondo i dati Covip, risultavano aver aderito non più di 7,3 milioni di soggetti. Senza considerare che a fine 2014 1,6 milioni di iscritti avevano sospeso i versamenti a causa del protrarsi della crisi.
La riforma delle previdenza integrativa dovrebbe scattare con la prossima legge di stabilità. E dovrebbe agire in mix con il pacchetto flessibilità. Che potrebbe vedere i fondi pensione in qualità di soggetti attivi in aggiunta alle banche. Una delle opzioni allo studio poggia infatti su un intervento con connotati “prestito” e in parte di “opzione” con il coinvolgimento delle banche (che erogherebbero l’assegno per la fase di anticipo rispetto al raggiungimento della soglia di vecchiaia) con la garanzia dell’Inps. Che tornerebbe a versare il trattamento al raggiungimento dell’età pensionabile quando il lavoratore sarebbe chiamato a restituire a rate il “prestito” (v. Il Sole 24 Ore di ieri). La penalizzazione per ogni anno di anticipo sarebbe del 3-4% anche per effetto del calcolo con il “contributivo”. Questa ipotesi ridurrebbe l’impatto dell’intervento sui conti pubblici e avrebbe un carattere strutturale. Ma allo studio c’è anche un’opzione che prevede misure differenziate (“mix”) in ottica flessibilità sulla base di tre di diversi casi di “convenienza” a uscire: azienda che ha esuberi (processi di ristrutturazione aziendale) e lavoratori che effettuano mansioni usuranti; lavoratore over 62 disoccupato; soggetto con carriera contributiva ricca e dunque favorevole a uscire prima dal lavoro.
Tra le altre proposte sul tavolo c’è poi il pacchetto già presentato dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che due giorni fa è stato ricevuto dal sottosegretario Tommaso Nannicini e ieri ha avuto altri incontri a Palazzo Chigi dopo le tensioni degli ultimi giorni sul dossier “buste arancioni”. Proprio l’Inps, tra l’altro, ha consegnato a Poste per la spedizione le prime 150mila lettere contenenti l’estratto conto contributivo e la simulazione standard della pensione futura.
Resta da capire se il Governo cercherà di accelerare sul versante flessibilità. La maggioranza è in pressing, a partire dal Pd, ma non solo. «Il governo, attraverso il dialogo con le Commissioni bilancio e lavoro di Camera e Senato, ha il dovere di individuare un pacchetto di misure che introducano, nel nostro sistema di sicurezza sociale, flessibilità dal lato delle entrate contributive e dal lato delle prestazioni pensionistiche garantendo la sostenibilità di lungo periodo», ha affermato ieri il presidente della commissione lavoro del Senato, Maurizio Sacconi.
Naturalmente le scelte che verranno adottate dovranno essere compatibili con i saldi di finanza pubblica. Il Def parla chiaro:?a legislazione invariata la spesa per pensioni salirà di circa 11 miliardi nel triennio 2016-2018, passando da 261,6 a 272,2 miliardi. (Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore)
Nuove pensioni, l’ipotesi prestito. Vertice di chiarimento tra il sottosegretario Nannicini e il presidente dell’Inps Boeri
Per circa un’ora ieri il presidente dell’Inps, Tito Boeri, è stato a colloquio a Palazzo Chigi con il sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini. La notizia è stata diffusa dall’Ansa, i diretti protagonisti non hanno voluto confermarla, ma neppure sono arrivate smentite ufficiali. Sul tavolo il dossier pensioni, in particolare le proposte sulla «flessibilità in uscita». Ma il vertice, probabilmente, è servito anche a parlare delle tensioni e delle incomprensioni sorte in queste settimane tra lo stesso Boeri e il governo. Non è un mistero, che l’insistenza del presidente dell’Inps affinché l’esecutivo «si decida» a rimettere mano alla riforma Fornero abbia irritato il governo. Tanto che era stato lo stesso Nannicini, l’altro ieri, a osservare come le varie proposte di flessibilità in uscita costino tra i 5 e i 7 miliardi di euro all’anno e quindi non siano praticabili. Probabile quindi che Boeri abbia chiesto un chiarimento a Palazzo Chigi.
Nel merito delle ipotesi allo studio, quella più percorribile, secondo le indiscrezioni, è il cosiddetto prestito pensionistico con il coinvolgimento del sistema bancario e assicurativo. Funzionerebbe così: il lavoratore cui manchino 2-3 anni ai requisiti per la pensione di vecchiaia potrebbe chiedere un anticipo del trattamento previdenziale sotto forma di prestito. Si tratterebbe di un mini assegno in cifra fissa (per esempio 7-800 euro) oppure calcolato con una penalizzazione rispetto alla pensione piena del 3-4% per ogni anno di anticipo. Al decorrere della pensione di vecchiaia il lavoratore comincerebbe a restituire il prestito in piccole rate trattenute sull’assegno. L’anticipo sarebbe erogato in tutto o in parte dal sistema bancario attraverso l’Inps e lo stesso istituto girerebbe poi il rimborso agli istituti di credito. Le assicurazioni garantirebbero il rimborso dal rischio di morte prematura del pensionato. Il costo dello Stato potrebbe limitarsi alla remunerazione degli interessi sul prestito e del servizio prestato da banche e assicurazioni. Il tutto va messo a punto con questi soggetti e si presta a numerose varianti. In una ipotesi restrittiva, per esempio, la platea dei lavoratori interessati sarebbe limitata alle aziende in crisi. Inoltre, le stesse imprese potrebbero essere chiamate a sopportare parte dei costi. Se la proposta farà strada lo si capirà più avanti e in ogni caso, ripete il governo, le decisioni verranno prese con la legge di Bilancio 2017. È significativo, intanto, che dalla maggioranza parlamentare i presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano (Pd), e Maurizio Sacconi (Ap), sollecitino al governo misure per la flessibilità in uscita mentre il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, sottolinea l’importanza dell’operazione «busta arancione», avviata dallo stesso Boeri, per informare i lavoratori con le stime di quanto prenderanno di pensione. (Enrico Marro – Il Corriere della Sera)
21 aprile 2016