L’anno prossimo porterà buone notizie pensionistiche soprattutto a poco meno di 40mila persone che incassano un assegno previdenziale di almeno 91.344 euro lordi all’anno: non verrà più applicato, infatti, il contributo di solidarietà, introdotto a fine 2013 e valido per un triennio. Per molti altri pensionati e pensionandi, invece, con l’attuale quadro normativo e in attesa del pacchetto previdenziale della legge di Stabilità, il 2017 confermerà requisiti e parametri già utilizzati quest’anno. Per di più, gioca a sfavore il contesto economico ancora stagnante.
Le “pensioni d’oro”, quindi, luccicheranno un po’ di più di ora, soggette come sono a un prelievo compreso da un minimo del 6% per gli importi da 91.344 a 130.491,40 euro e un massimo del 18% (passando per il 12%) quando il trattamento pensionistico sfora i 195.737,11 euro.
Venendo invece alle regole generali, vediamo cosa prevedono le norme attuali per le varie voci del cantiere-previdenza. Sul fronte del diritto all’assegno, non cambierà l’età minima necessaria per poter smettere di lavorare. L’adeguamento di questo parametro alla variazione dell’aspettativa di vita, ma anche alle regole che prevedono l’equiparazione tra uomini e donne, nel passaggio tra 2016 e 2017 non determinerà scatti (i dettagli sono riportati nelle schede a fianco). Il prossimo scalino, per le donne del settore privato, dipendenti o autonome, ci sarà nel 2018.Queste due categorie, del resto, sono state particolarmente penalizzate quest’anno, avendo subìto un incremento rispettivamente di 2 anni e 10 mesi e di 1 anno e 4 mesi rispetto al 2015. E poi, dal 2019, dovrebbe scattare l’adeguamento con cadenza biennale alla speranza di vita, al posto di quello triennale applicato nel periodo 2013-2018, e ulteriori 5 mesi di età richiesti a tutti (la pensione di vecchiaia si raggiungerà a 67 anni). Invariato anche il minimo di versamenti per la pensione anticipata: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne. Mentre per l’anticipata con il contributivo, fruibile da chi ha iniziato a pagare i contributi dal 1996, saranno sufficienti 63 anni e 7 mesi di età.
Per quanto riguarda l’importo del primo assegno pensionistico riconosciuto a chi va in pensione nel 2017 invece che nel 2016, sono confermati i coefficienti che vengono utilizzati per convertire il montante contributivo in relazione all’età in cui si smette di lavorare: più elevata è quest’ultima e più ricca è la pensione, in quanto l’aspettativa di vita è minore. Anche questi hanno validità triennale e quindi quelli introdotti quest’anno restano in vigore fino al 2018. Peraltro, l’effetto dei coefficienti si fa sentire in relazione all’anzianità contributiva e al conseguente metodo di calcolo applicato: per chi aveva 18 anni di contributi entro il 1995, il contributivo scatta solo per gli anni dal 2012 in poi; per chi aveva meno di 18 anni di contributi, il calcolo con i coefficienti parte dal 1996; per i più giovani tutta la pensione è soggetta alla conversione del montante in assegno.
Quanto al montante, la regola prevede che alla fine di ogni anno quanto accumulato venga rivalutato in base alla variazione media del prodotto interno lordo del quinquennio precedente. E qui il rallentamento della crescita economica, o meglio la recessione, si è fatta e si sta facendo ancora sentire, tant’è che il valore del 2014 (applicato nel 2015) è risultato negativo per la prima volta nella storia (e si è dovuti intervenire con una norma per utilizzare comunque un valore pari a zero), mentre quello del 2015 è stato +0,005058, cioè 10mila euro sono diventati 10.050,58. Quest’anno non ci si dovrebbe scostare di molto.
Il contesto economico pesa anche sull’importo degli assegni già in pagamento, dato che ogni anno viene adeguato all’inflazione rilevata nei dodici mesi precedenti. Nel 2015 l’indice di riferimento (applicato nel 2016) è stato addirittura negativo e anche in questo caso poi riportato a zero per legge, mentre quello riferito a quest’anno è stato previsto nullo e quello provvisorio da applicare nel 2017 probabilmente non si discosterà molto dallo zero. Quindi nel triennio 2015-2017 gli importi sono rimasti sostanzialmente stabili per quanto riguarda l’effetto inflazione. A ciò si deve aggiungere il meccanismo di perequazione introdotto per il 2014-2016 e poi prorogato fino al 2018 per coprire i costi dell’estensione dell’opzione donna e dell’ampliamento della no tax area per i pensionati: solo agli assegni fino a tre volte il minimo (cioè 1.505,67 euro) viene riconosciuto l’adeguamento pieno all’inflazione. Più l’importo sale, e minore è il tasso retrocesso. Ma, a fronte della stabilità dei prezzi, per forza di cose gli assegni non aumentano, indipendentemente dal meccanismo di retrocessione.
Guardano invece con apprensione al 2017 i professionisti iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’Inps, per i quali, con l’ennesimo intervento tampone, nel 2016 l’aliquota contributiva è stata fermata al 27%, ma l’anno prossimo dovrebbe saltare al 29% per poi arrivare al 33% nel 2018. Ritocchi verso l’alto, ma sensibilmente più contenuti per gli iscritti in via non esclusiva e per artigiani e commercianti (+0,45%).
Matteo Prioschi – Il Sole 24 Ore – 25 luglio 2016