Mentre i ministri dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e del Lavoro, Giuliano Poletti,continuano ad affinare le ipotesi di intervento sulla flessibilità pensionistica, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, comincia a scoprire le carte. «Noi — ha detto ieri alla direzione del Pd — abbiamo bisogno di dire con chiarezza che i conti pensionistici per quello che riguarda il nostro Paese non si toccano.
Ma se esiste la possibilità, e stiamo studiando il modo, per cui in cambio di un accordo si possano consentire forme di flessibilità in uscita, se esistono le condizioni per farlo, sarebbe un gesto di buona volontà».
Il passaggio chiave è «in cambio di un accordo» che, come spiegano i tecnici, allude al fatto che quello allo studio non è un meccanismo generale di flessibilità ma un sistema rivolto a platee particolari di lavoratori. La priorità, ovviamente, sono i dipendenti anziani, per esempio con più di 62 o 63 anni (si tenga conto che dal prossimo gennaio l’età per accedere alla pensione di vecchiaia sale a 66 anni e 7 mesi) che perso il lavoro non riescano a trovarne un altro. A loro potrebbe essere data la possibilità di accedere a un pensionamento anticipato con l’importo della pensione più basso perché ricalcolato alla luce del fatto che verrebbe pagato per più anni. Ci si perderebbe in media il 3-3,5% per ogni anno di anticipo.
Questo schema potrebbe essere allargato consentendo alle aziende di favorire pensionamenti anticipati all’interno di processi di ristrutturazione che potrebbero prevedere anche l’ingresso di giovani (staffetta generazionale), a patto che la stessa azienda si accolli parte del costo di questi prepensionamenti, magari versando, come propone l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, contributi esentasse per il raggiungimento della pensione. Sul tavolo, dicono ancora i tecnici, c’è anche l’ipotesi del «prestito pensionistico» o «assegno di solidarietà», altra forma per consentire le uscite anticipate a un costo basso per il bilancio pubblico. Delle coperture, comunque, andranno previste. E sta qui la difficoltà del provvedimento da mettere a punto, con le risorse da indicare nella legge di Stabilità che il governo presenterà entro il 15 ottobre.
La soluzione allo studio dovrà offrire una risposta anche alle donne, le famose lavoratrici che, secondo l’esempio fatto dallo stesso Renzi, una volta diventate nonne, se vogliono dedicarsi al nipotino, devono poter andare in pensione prima, ma prendendo meno. Per questo sul tavolo c’è anche una proroga dell’opzione donna (che scade il 31 dicembre) ma a condizioni diverse: ci vorrebbero almeno 62 o 63 anni d’età (non più 57) e 35 di contributi, ma il taglio dell’assegno sarebbe inferiore al 25-30% previsto finora.
Enr. Ma. – Corriere della Sera – 22 settembre 2015