Il calcolo del coefficiente di rivalutazione delle pensioni sta per arrivare sulle scrivanie di ministero del Lavoro ed Economia. Toccherà al Governo chiarire se sarà da applicare o meno il tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi che quest’anno, per la prima volta, è stato negativo (-0,1927%). A chiedere l’intervento dei due ministeri sarà l’Inps, l’ente di previdenza presieduto da Tiziano Treu. «L’Inps ci sottoporrà un parere sull’applicazione del tasso annuo di capitalizzazione – fanno sapere dal ministero del Lavoro –. C’è da capire se un coefficiente di rivalutazione può essere comparato con un Pil negativo». Come si può infatti parlare di rivalutazione di pensioni se il tasso di riferimento è negativo? Un’aberrazione matematica non prevista dalla riforma pensioni varata dal Governo Dini nel 1995. Intanto l’alleggerimento del prelievo fiscale sui fondi pensione e sulla rivalutazione del Tfr guadagna altri punti nel borsino dei ritocchi da apportare alla Camera alla legge di stabilità.
Effetto congelamento
La richiesta di delucidazioni targata Inps dovrebbe arrivare già oggi. La conseguenza immediata sarà un congelamento del tasso negativo: a quel punto l’Inps entrerà in stand by fino alla risposta dei due ministeri covigilanti. Presto per parlare di sterilizzazione ma, nei fatti, è questa la direzione intrapresa: bisogna annullare il paradossale effetto sottrazione dei soldi versati dai futuri pensionati, nel «salvadanaio previdenziale». Con quale strumento giuridico verrà eliminato questo fattore distorsivo è tutto da valutare. Oggi tra l’altro è l’ultimo giorno utile per presentare emendamenti alla legge di Stabilità da parte dei parlamentari (il Governo invece non ha limitazioni temporali). «A quanto mi risulta ci si sta muovendo perché già in questa legge di Stabilità possa essere inserita la modifica alla modalità di calcolo del tasso annuo di capitalizzazione in modo che non possa diventare negativo», a dichiararlo è Lello Di Gioia (Psi), presidente della commissione bicamerale di vigilanza degli enti previdenziali. L’incertezza sul coefficiente di rivalutazione delle pensioni ha rilanciato inoltre il tema della “busta arancione”, la stima del futuro assegno previdenziale che gli attuali vertici Inps hanno promesso di inviare entro dicembre, non è chiaro se solo ai pensionandi o a tutti i lavoratori.
Rischio povertà
A chiedere un immediato intervento di Governo e Parlamento sono stati ieri i sindacati. «Va attuata una correzione nel funzionamento del sistema contributivo, prevedendo un tasso di capitalizzazione minimo che impedisca la svalutazione del montante quando il Pil è negativo – hanno fatto sapere congiuntamente Cgil, Cisl e Uil –. Bisogna intervenire con urgenza correggendo tale grave anomalia per non impoverire ulteriormente il futuro pensionistico di milioni di italiani».
La posizione delle Casse
Andrea Camporese, presidente Adepp, l’associazione che rappresenta le Casse di previdenza dei professionisti sottolinea come la rigidità del Mef, che si è sempre opposto alla richiesta degli enti di riversare nei montanti degli iscritti il surplus generato dai rendimenti, sia un atteggiamento anacronistico. Posizione contro la quale la Cassa di previdenza degli agrotecnici ha reagito con successo: «Possiamo garantire ai nostri iscritti, già oggi, un rendimento minimo di 1,5% – fa sapere Roberto Orlandi, presidente dell’Ordine nazionale agrotecnici –. I ministeri avevano detto no alla nostra riforma ma il Consiglio di Stato ci ha dato ragione visto che abbiamo la sostenibilità a 50 anni e i conti in ordine». Un lavoratore nato nel 1954 ha iniziato a lavorare nel 1980 e andrà in pensione il 31 dicembre del 2020. Il calcolo della sua pensione avviene con il sistema misto e cioè dal 1980 al 1995, anno della riforma Dini, la pensione viene calcolata in base alle quote retributive, che non risentono del prodotto interno lordo (Pil). Fino al 1995 quindi il nostro soggetto matura due diverse quote: A e B la cui rivalutazione è legata all’indice Istat (inflazione), che quindi non risente dell’andamento del Pil. Dal 1?gennaio 1996 scatta invece l’applicazione del sistema contributivo, la cosiddetta quota che è la somma dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore (montante previdenziale) nel corso dell’intera vita lavorativa. Questa somma diventerà una quota della pensione, con l’applicazione dei coefficienti legati all’età del lavoratore al momento del pensionamento. Il montante, negli anni in cui si accumula, viene annualmente rivalutato sulla base del Pil nominale (riforma Dini). È proprio su questa rivalutazione annuale, e sul suo effetto sull’assegno, che si concentrano le simulazioni riportate accanto. Di seguito riportiamo gli effetti sulla sola quota C dell’andamento del Pil in quattro diversi macro scenari (Pil pari a zero, in forte calo, in calo, in crescita) per due tipologie di lavoratori: stipendio da impiegato pubblico e stipendio da dirigente del privato. Con le simulazioni si evidenzia l’impatto dell’andamento di un Pil negativo per sei anni consecutivi in un orizzonte lavorativo di almeno quarant’anni.
Tasse sui fondi pensione e Tfr, il governo apre alle correzioni. Commissione Finanze della Camera: alleggerire il prelievo
L’alleggerimento del prelievo fiscale sui fondi pensione e sulla rivalutazione del Tfr guadagna altri punti nel borsino dei ritocchi da apportare alla Camera alla legge di stabilità. A chiedere l’eliminazione, o quanto meno la riduzione, «dell’inasprimento» della tassazione è nel suo parere di merito la commissione Finanze di Montecitorio. E il Governo conferma subito l’apertura a valutare correttivi su questo fronte sempreché «non intacchino i saldi» della manovra, come sottolinea il viceministro dell’Economia, Enrico Morando. Che afferma: «C’è ampia disponibilità». E che sul nodo delle clausole di salvaguardia automatiche sull’Iva aggiunge: con il taglio alla spesa improduttiva «non è impossibile» evitare che scattino. Ma l’esecutivo deve fare i conti anche con altre richieste di modifica. Come quella sulla concessione degli sgravi contributivi per i neoassunti dai quali, secondo il parere approvato all’unanimità dalla commissione Lavoro della Camera, dovrebbero essere escluse le imprese che abbiano licenziato in precedenza. Per la Commissione gli “sconti” dovrebbero essere garantiti solo con il vincolo di «un incremento netto» dei posti di lavoro.
Un altro correttivo particolarmente gettonato è quello del riordino dei tributi locali sulla casa per giungere alla service tax, come suggerito anche dalla commissione Finanze. Che, insieme alla commissione Cultura, chiede che venga equiparata l’Iva sugli e-book (con conseguente riduzione) a quella sui libri cartacei. Sempre la Finanze suggerisce di correggere la misura sul regime fiscale semplificato per i professionisti (i cosiddetti “minimi”) per ampliare la platea dei soggetti beneficiari. La commissione Attività produttive spinge invece per valutare un «significativo rafforzamento della deducibilità dell’Imu dal reddito d’impresa o professionale».
Tornando all’ipotesi di “local tax”, che ha ribadito Matteo Renzi sarà operativa dal prossimo anno, questo intervento sarà al centro, su input di Pd, Ncd e anche Fi, di una fetta consistente della pioggia di emendamenti che si sta per abbattere sulla “stabilità”. Il termine per la presentazione delle proposte dei gruppi, e dei primi correttivi di Governo e relatore (Mauro Guerra, Pd), scade oggi alle 13,00.
Proprio per evitare alla “stabilità” di rimanere intrappolata nel consueto assalto alla diligenza l’ufficio di presidenza della “Bilancio” ha già deciso di limitare a non più di 1000 gli emendamenti dei gruppi da considerare “segnalati”, ovvero quelli su cui concentrare l’esame in commissione: 500 saranno ricavati dall’ondata di ritocchi che arriverà dai gruppi parlamentari e l’altra metà da quelli a firma del Governo, del relatore o presentati dalle altre commissioni parlamentari. La partita comincerà a entrare nel vivo solo martedì con le ammissibilità mentre le votazioni in commissione cominceranno giovedì (v. Il Sole 24 Ore di ieri). L’obiettivo resta quello di arrivare in Aula il 24 novembre. Ma i tempi si potrebbero dilatare nel caso in cui il Jobs act venisse sottoposto, come sembra, al voto dell’Assemblea di Montecitorio già alla fine della prossima settimana o all’inizio di quella successiva.
Un problema quello della tabella di marcia parlamentare della riforma del lavoro e della “stabilità” che sta creando tensioni nei Democratici. Con la minoranza Pd che chiede risorse certe per gli ammortizzatori sociali e che con un appello a Matteo Renzi sottolinea che «è necessario approvare la legge di stabilità prima di iniziare il voto alla Camera sul Jobs Act».
Il Sole 24 Ore – 7 novembre 2014