L’Ape, l’Anticipo pensionistico, passerà obbligatoriamente per l’Inps. Il lavoratore “over 63” intenzionato ad anticipare l’uscita dal lavoro non dovrà recarsi in banca per ottenere il “prestito” ma dovrà interlocuire con l’ente previdenziale. Che dovrà anzitutto certificare la sua situazione previdenziale, a partire dal montante contributivo, privo dei contributi relativi agli anni di anticipo (da 1 a 3). A quel punto l’Inps con il soggetto finanziario, probabilmente previsto da un’apposita convenzione, perfezionerà l’operazione di “prestito”.
Che anche sulla base delle valutazioni dello stesso ente previdenziale potrebbe essere integrato (d’intesa con il lavoratore) con altri strumenti, come ad esempio la Rita (Restituzione integrativa temporanea anticipata), per ridurre il capitale richiesto. Secondo lo schema abbozzato dalla cabina di regia economica di Palazzo Chigi, guidata dal sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini, ad attribuire l’assegno anticipato al lavoratore dovrebbe essere sempre l’Inps. L’Ape sarà comunque ulteriormente perfezionata nelle prossime settimane. Intanto la Ue si mostra cauta ma non “chiude”.
La responsabile economica della rappresentanza italiana della Commissione Ue a Roma, Antonia Carparelli, dice che sull’Ape non c’è una «pregiudiziale ideologica» da parte di Bruxelles. Ma aggiunge che il piano sull’Anticipo pensionistico dovrà comunque assicurare «la sostenibilità di lungo termine» e che dovrà essere evitato «un impatto nel breve termine sul deficit» che sia in conflitto con il Patto di stabilità e crescita. Il Governo assicura che l’impatto dell’Ape sui conti pubblici sarà limitato (500-600 milioni). Il ministro Giuliano Poletti ribadisce che «trattandosi di un’anticipazione finanziaria fatta attraverso il sistema bancario, la finanza pubblica c’entra solo per quella parte che interviene a ridurre i costi», ad esempio per i disoccupati.
L’intervento dovrebbe riguardare anche gli “statali”. Lo stesso Matteo Renzi conferma che «il ragionamento dell’Ape è articolato sia sulla parte pubblica che privata». Ma aggiunge: «È una fase di discussione, non vogliamo più fare annunci. Quando arriverà il momento della discussione dell’Ape chiuderemo». Per il presidente dell’Inps, Tito Boeri, «è molto importante» che il tema flessibilità «venga affrontato adesso». Dure critiche arrivano invece dal M5S, che definisce il “prestito” una follia e da Fi, che parla del «solito imbroglio».
Tornando al funzionamento dell’Ape, il “prestito” dovrà essere rimborsato alla banca, sempre attraverso l’Inps, con rate mensili comprensive di capitale e interessi per un periodo di 20 anni. Proprio la rata rappresenterà implicitamente l’incidenza della penalizzazione rispetto alla “potenziale” pensione di vecchiaia piena. Ad attutirla saranno apposite detrazioni fiscali che interverranno per ridurre la decurtazione dell’assegno ai redditi più bassi. La decurtazione si dovrebbe azzerare o ridurre al minimo per una particolare fascia di lavoratori a basso reddito: disoccupati senza speranza di ritrovare un impiego, lavoratori impiegati in lavori pesanti e anche per soggetti coinvolti in lavoro di cura familiare. In questi casi la detrazione fiscale non solo dovrebbe compensare l’intero importo della rata ma anche coprire una fetta del “capitale”. Le detrazioni dovrebbero ridursi di molto e addirittura scomparire nei casi “uscita volontaria” dal lavoro da soggetti con reddito elevato, per i quali il taglio dell’assegno potrebbe arrivare anche al 15 per cento.
Ma secondo uno studio della Uil per chi decidesse di uscire con tre anni di anticipo e si ritrovasse con una rata di 500 per tredici mensilità da restituire in 20 anni su una pensione netta di 2.500 euro mensili, applicando un tasso d’interesse fisso al 3%, la riduzione netta dell’assegno potrebbe arrivare fino al 20 per cento.
Il piano illustrato dal Governo ai sindacati è articolato su tre categorie di lavoratori: “uscite volontarie”; disoccupati di lungo corso e lavoratori impegnati in mansioni “pesanti”; lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazione aziendali o da “accordi bilaterali”. In quest’ultimo caso potrebbe essere previsto il “contributo” delle aziende. Quanto al calcolo dell’assegno, il coefficiente di trasformazione utilizzato sarà quello relativo al raggiungimento dell’età di vecchiaia.
In vista dei due prossimi round tra Governo e sindacati, già fissati per il 23 e il 28 giugno, restano numerosi nodi da sciogliere. A cominciare dal reddito su cui modulare le agevolazioni fiscali (Isee, reddito pensionistico o reddito complessivo) e dalla calibratura delle stesse detrazioni.
Il Sole 24 Ore – 16 giugno 2016