Un anticipo sulla pensione per evitare di finire tra gli esodati, cioè senza stipendio e senza trattamento previdenziale. È l’idea lanciata ieri dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, in un’intervista al Sole 24 Ore.
Il governo, ha ribadito il ministro, non ha alcuna intenzione di fare un controriforma delle pensioni rispetto alla riforma Fornero e giudica che le proposte di legge come quella dell’ex ministro Cesare Damiano (Pd) per consentire il pensionamento anticipato ma con una penalizzazione dell’assegno siano troppo costose per la finanza pubblica. «Diverso sarebbe — dice Giovannini — uno schema per cui, supponiamo, chi è a due-tre anni dal pensionamento e lascia il lavoro potrebbe per tale periodo ricevere un sostegno economico, che poi dovrà ripagare negli anni successivi: si tratterebbe di una sorta di prestito, senza costi aggiuntivi sul sistema pensionistico». Il meccanismo allo studio prevede la possibilità per il lavoratore cui manchino pochi anni al raggiungimento dei requisiti pensionistici di chiedere, quindi volontariamente, un anticipo della pensione che poi sarà restituito dal momento in cui scatterà la pensione piena. Una specie di prestito a se stesso pensato per chi perde il posto di lavoro ma è troppo giovane per andare in pensione. Non a caso lo stesso Giovannini, ieri mattina parlando ad Agorà su Raitre della questione degli esodati ha detto: «Per risolvere questo problema non c’è la bacchetta magica. Pensiamo a un anticipo di carattere finanziario per sanare la situazione di persone che perdono il lavoro a due-tre anni dalla pensione». Per capire come potrebbe funzionare possiamo pensare a un lavoratore che abbia 64 anni, sia cioè vicino alla pensione di vecchiaia, oppure 39 anni di contributi e quindi non lontano dalla pensione di anzianità. Questo lavoratore, se perde il posto, potrebbe chiedere l’anticipo della pensione. Non gli verrebbe però corrisposto l’importo che gli spetterebbe al momento del raggiungimento dei normali requisiti di pensionamento, ma appunto un «sostegno economico», per esempio 7-800 euro, che poi comincerebbe a restituire due o tre anni dopo, cioè quando sarebbe andato comunque in pensione. La restituzione avverrebbe con una trattenuta sull’importo mensile della pensione che, assicurano i tecnici, sarebbe di modesta entità perché spalmata su tutti gli anni per i quali si prevede di erogare l’assegno. La proposta lanciata ieri da Giovannini è ancora da mettere a punto e numerosi dettagli sono da chiarire. Se farà strada, potrebbe essere varata con la legge di Stabilità a ottobre.
Lo stesso ministro ha confermato che i suoi uffici stanno anche approfondendo diverse proposte di intervento sulle pensioni d’oro. Ma lo stesso Giovannini ha sottolineato i limiti di un intervento sulle sole pensioni di importo molto elevato. Sono infatti appena 188mila i pensionati che prendono assegni superiori a 4.810 euro lordi al mese (10 volte il minimo) per una spesa di circa 15 miliardi e mezzo di euro, il 5,6% del totale. E di questi sono solo 540 quelli che prendono più di 20mila euro al mese. Il ministro ha però ribadito: «Interverremo sulla questione delle pensioni d’oro, anche se in realtà in termini di numero non sono molte, ma si tratta di un problema di ingiustizia» perché questi assegni, liquidati col vecchio sistema retributivo, restituiscono molto di più di quanto versato durante la vita lavorativa, a differenza delle pensioni dei giovani che saranno liquidate col metodo contributivo. Il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Pdl), ha chiesto al ministro di aprire un tavolo con la maggioranza per discutere di «tutti i nodi da sciogliere».
Enrico Marro – Corriere della Sera – 29 agosto 2013