C’è un’altra forma di flessibilità delle pensioni che entra nel dossier allo studio del governo. Una novità che prende corpo alla vigilia dell’incontro di stamattina, su previdenza e lavoro, tra il sottosegretario alla presidenza del consiglio Tommaso Nannicini e il ministro Giuliano Poletti da una parte e i sindacati dall’altra. Il tema è quello del riscatto della laurea, cioè il versamento dei contributi per gli anni passati all’università in modo da avvicinare il momento della pensione. L’idea è rendere flessibile anche il riscatto: potendo scegliere non solo il numero degli anni da recuperare, cosa possibile già oggi. Ma anche la somma da versare e quindi l’effetto sull’assegno futuro. Perché una mossa del genere? Chi oggi è vicino dalla pensione e chiede il riscatto della laurea di solito si vede presentare un conto parecchio salato. E questo perché il calcolo viene fatto sulla base del suo stipendio attuale che, a fine carriera, tende a essere più alto. Chi chiede il conteggio, quindi, spesso rinuncia all’operazione e resta al lavoro fino alla scadenza naturale.
Rendere flessibile il riscatto significa slegare la somma da pagare dallo stipendio attuale, considerarla un versamento volontario di contributi. La strada potrebbe essere interessante per chi preferisce lasciare il lavoro prima, anche accettando un assegno più basso. Non è detto che il riscatto flessibile venga agganciato direttamente all’Ape, l’anticipo pensionistico annunciato nei giorni scorsi da Matteo Renzi e di cui oggi Nannicini e Poletti parleranno con i segretari di Cgil, Cisl e Uil. La misura potrebbe essere inserita in un collegato alla Legge di Bilancio, cioè un provvedimento successivo che potrebbe contenere anche altre novità sulla previdenza.
Sull’Ape, al momento, il piano del governo resta l’uscita anticipata fino a tre anni con una penalizzazione sull’assegno fino al 4% per ogni anno di anticipo. Sul piatto, anche se tutto dipenderà dal disegno complessivo della legge di Bilancio, ci dovrebbe essere circa un miliardo di euro. Mentre un altro miliardo e mezzo potrebbe arrivare per il taglio strutturale del cuneo fiscale, cioè le tasse sul lavoro, sui nuovi contratti a tempo indeterminato. (Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera)
Anticipo-pensioni, penalità medie del 3-4% l’anno. Rispuntano gli 80 euro per i pensionati al minimo. Oggi primo incontro Governo-sindacati
Penalizzazioni medie delle pensioni del 3-4% l’anno per gli over 63, da calibrare sulla base del numero di anni dell’anticipo e dell’entità dell’assegno percepibile al momento del raggiungimento della soglia di vecchiaia. E trattamenti anticipati, per un periodo non superiore ai 3 anni, erogati con un meccanismo imperniato sul cosiddetto “prestito”, che sarà garantito da intermediari finanziari (banche e assicurazioni) ma con una garanzia pubblica in versione “mini” (solo per le soggetti con una bassa soglia di reddito pensionistico). O, secondo un’altra opzione allo studio, addirittura nei fatti assente (solamente di principio) per evitare che a livello contabile si crei un incremento eccessivo di spesa pubblica e per scongiurare qualsiasi rischio di sconfinamento nel terreno degli “aiuti di Stato” vietato da Bruxelles. Sarebbero queste le ultime ipotesi allo studio della cabina di regia economica di Palazzo Chigi, guidata dal sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini, per completare il piano sulla flessibilità in uscita delle pensioni. Un piano, denominato Ape (Anticipo pensionistico) che oggi dovrebbe essere illustrato solo per grandi linee (e senza carte) ai sindacati dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e dallo stesso Nannicini in quello che si annuncia come il primo incontro di una serie sui dossier più caldi: taglio al cuneo e riforma dei contratti, oltre alle pensioni.
Tra i temi sul tavolo ci sarà anche quello dell’estensione degli 80 euro ai pensionati. Ieri il premier, Matteo Renzi, intervenendo in radio è tornato a parlare di un allargamento del bacino del bonus in favore dei pensionati: «Questa è una delle misure che stiamo studiando. Stiamo discutendo di quale fasce andare a prendere. Ci sono le minime che oggi prendono davvero pochissimo».
Su tutti questi delicati capitoli, che, almeno in parte, dovrebbero confluire nella prossima legge di stabilità, il Governo punta ad avviare il dialogo con i sindacati e ad esaminare le loro proposte. «Sul tema previdenziale i sindacati hanno proposto una loro piattaforma, quindi ne discuteremo con loro», ha detto Poletti. Che ha aggiunto: «Esprimeremo la valutazione del Governo anche se siamo ancora in una fase interlocutoria perché queste tematiche troveranno una loro conclusione» nella legge di stabilità. Il ministro ha anche sottolineato che il Governo ha già manifestato l’orientamento molto chiaro «di produrre una flessibilità in uscita» tenendo fermi «alcuni cardini, ovvero l’equilibrio economico da un lato e la stabilità sociale dall’altro». In altre parole, l’intervento non può essere troppo costoso né può essere compromessa la sostenibilità del sistema previdenziale garantita dalla legge Fornero, molto apprezzata in Europa. Non a caso proprio ieri l’Fmi ha ribadito che «è importante non compromettere la sostenibilità del sistema pensionistico».
Sulla questione dei costi si è soffermato anche il viceministro dell’Economia, Enrico Morando: per introdurre la flessibilità in uscita «è chiaro che qualche sacrificio di bilancio sarà necessario ma non si potrà trattare di enormi risorse destinate a questo scopo. Noi – ha aggiunto – vogliamo introdurre flessibilità in uscita dal mondo del lavoro ma in un contesto di stabilità finanziaria».
L’operazione che stanno studiando i tecnici del Governo dovrebbe costare non più di un miliardo, al quale si aggiungerebbero dai 600 milioni agli 1,2 miliardi per l’estensione degli 80 euro ad alcune fasce di pensionati (a seconda dell’ampiezza del bacino dei soggetti interessati). Ma sul fronte della flessibilità restano diversi nodi da scogliere. A cominciare da quello della “selettività”.
Poletti è stato chiaro: «Non possiamo trattare nella stessa maniera un disoccupato che ha perso il lavoro, ha usato tutti gli ammortizzatori sociali e non arriva» a raggiungere i requisiti per il pensionamento «ed un lavoratore che teoricamente potrebbe arrivare alla pensione avendo un suo reddito da lavoro. Se lo Stato deve metterci dei soldi – ha aggiunto il ministro – io credo che in primo luogo li debba mettere per il disoccupato».
Ma le opzioni che stanno valutando i tecnici di Palazzo Chigi punterebbero, in tema di categorie di lavoratori, su una “selettività” limitata quasi esclusivamente ai disoccupati di lungo corso, che beneficerebbero di penalizzazioni “soft” per l’uscita anticipata. La gradualità dovrebbe poi essere estesa alle diverse fasce di reddito pensionistico. Anche i lavoratori impiegati in mansioni usuranti, al momento, sarebbero fuori dalla gamma delle “selettività” per le uscite flessibili.
Dalle pensioni ai contratti il governo sonda i sindacati
I sindacati dall’incontro odierno si aspettano l’avvio di un confronto «vero» con il governo su pensioni, lavoro, politiche attive e contrattazione. Quattro capitoli sui quali Palazzo Chigi quest’anno intende intervenire, ma per Cgil, Cisl e Uil serve una reale interlocuzione, il dialogo non deve limitarsi ad un incontro sporadico.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Tommaso Nannicini, questa mattina dovrebbero illustrare ai leader sindacali la proposta dell’anticipo pensionistico (Ape) e ascolteranno le indicazioni contenute nella piattaforma unitaria sulle pensioni, come prima tappa di un percorso di ascolto. Il sindacato propone il ripristino di meccanismi di flessibilità nell’accesso al pensionamento di vecchiaia, la pensione anticipata con 41 anni di contributi per tutti senza penalizzazioni, l’estensione della platea di lavori usuranti, il ritorno alla normativa sulla rivalutazione annuale degli assegni pensionistici antecedente il blocco della legge Fornero, l’estensione degli 80 euro ai pensionati, nessun ritocco alle pensioni di reversibilità. «Ci aspettiamo che ascoltino la nostra piattaforma – ha spiegato la leader della Cgil, Susanna Camusso – visto che da lungo tempo abbiamo presentato una proposta per cancellare tante ingiustizie, la legge Fornero così come altri temi legati in particolare agli ammortizzatori sociali e al mercato del lavoro. Abbiamo inviato al Governo numerose richieste di affrontare i problemi. Ci aspettiamo una disponibilità a discutere».
L’incontro di oggi servirà al governo anche per sondare il sindacato sul tema della riduzione del cuneo fiscale, capire se è considerato una priorità, e per rilanciare il tema della riforma della contrattazione con l’obiettivo di valorizzare i contratti decentrati in chiave di incremento della produttività: nessun intervento legislativo è previsto a breve, ma il governo ha già fatto capire che non può aspettare in eterno un accordo tra le parti sociali. Quindi, in assenza di un’intesa, sarà Palazzo Chigi a intervenire. C’è poi tutto il capitolo delle politiche attive, con i lunghi tempi di decollo dell’Anpal e l’operatività dell’assegno di ricollocazione: a preoccupare i sindacati oltre al “fattore tempo”, è la limitatezza di risorse disponibili, anche perché nel frattempo le modifiche normative hanno frenato l’erogazione della cassa integrazione ordinaria con gravi disagi per migliaia di lavoratori. Senza trascurare la questione voucher, oggetto del primo decreto correttivo al Jobs act: sul boom dei buoni lavoro le posizioni nel sindacato sono differenti. La Cgil propone l’abrogazione dei voucher, mentre la Cisl vuole evitare che si possano utilizzare impropriamente, nella convinzione che frenando gli abusi, con l’impiego corretto dei buoni lavoro possa emergere gran parte del sommerso. (Marco Rogari – Il Sole 24 Ore)
24 maggio 2016