La restituzione di una piccola parte degli arretrati sotto forma di una tantum da incassare il primo agosto. Un adeguamento degli assegni all’inflazione leggermente meno tirato di quello degli ultimi anni. E lo spostamento al primo del mese per il pagamento degli assegni.
Dopo un tira e molla andato avanti per giorni, e con un testo ancora in fase di elaborazione, prende forma il decreto legge per rispondere alla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco delle pensioni deciso dal governo Monti.
Arretrati, al massimo il 40%
La restituzione degli arretrati sarà progressiva, dando qualcosa in più a chi ha un assegno basso e qualcosa in meno a chi ha una pensione più ricca. Il rimborso dovrebbe andare da 278 euro netti, per chi ha 2.700 euro e quindi è nella fascia tra 5 e 6 volte il minimo Inps (ancora meno chi è a ridosso di 3mila euro). A chi sta nel mezzo fra 3 e 4 volte il minimo (1.700 lordi) andranno 754 euro netti (poco di più a chi ha un assegno di 1.500 euro). A nessuno sarà rimborsato più del 40% del dovuto, anche se i sindacati sostengono che la percentuale massima sia ancora più bassa. Mentre al di sopra dei 3 mila euro lordi al mese la restituzione sarà pari a zero.
I mini aumenti dal 2016
La progressività è la regola base anche per il nuovo meccanismo di rivalutazione che sarà applicato a partire dal primo gennaio del prossimo anno. Gli aumenti andranno da un minimo di circa 5 euro netti al mese, per chi adesso ha un assegno fra i 2.500 e i 3 mila euro lordi. Fino a un massimo di circa 15 euro netti al mese per chi ora incassa tra i 1.500 e i 2 mila euro lordi al mese. Anche in questo caso al di sopra dei 3 mila euro lordi al mese l’effetto sarà pari a zero.
Tesoretto e tagli ai ministeri
Per pagare gli arretrati servono 2 miliardi e 180 milioni di euro nel 2015. I soldi vengono in gran parte dal cosiddetto tesoretto, le risorse aggiuntive indicate nel Def, il Documento di economia e finanza. Ma nel decreto ci sarà una specie di clausola di salvaguardia al contrario. L’effettivo ammontare del tesoretto sarà accertato solo nei prossimi mesi. Nel frattempo i soldi saranno presi con una serie di tagli ai ministeri da ripianare poi proprio col tesoretto. Per il futuro, invece, il nuovo meccanismo di rivalutazione degli assegni costerà mezzo miliardo di euro l’anno.
Niente tagli se il Pil va male
Con lo stesso decreto, poi, viene eliminato il rischio di un taglio degli assegni. Con le regole attuali il cosiddetto montante contributivo, cioè la base sulla quale si liquidano le pensioni, deve seguire l’andamento del prodotto interno lordo. Dopo cinque anni di recessione il montante si sarebbe svalutato. Una condizione che non si era mai verificata, fino al 2015. Per evitare il taglio (qualche euro al mese), il decreto stabilisce che anche in caso di cinque anni con il Pil in negativo il montante non può essere svalutato. E quindi le pensioni non possono scendere.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 19 maggio 2015