Un miliardo e settecento milioni. È quanto potrebbe costare la «misura di equità sulle pensioni minime» che ieri il premier Renzi è tornato a confermare (il primo annuncio è dell’aprile scorso) come misura certa nel «cantiere sociale » della prossima legge di bilancio. Una cifra non bassa. E soprattutto superiore alle risorse sin qui preventivate: due miliardi totali, di cui però uno vincolato ai pensionandi e dunque alla flessibilità in uscita con l’Ape, e solo un altro miliardo per i pensionati, tra quattordicesima, no tax area e appunto pensioni minime.
Tutto non si potrà fare. Ma la scelta al momento sembra pendere per gli 80 euro a chi ne prende fino a 500 di pensione: 1 milione e 687 mila persone, l’11% dei pensionati italiani (dati Inps al 31 dicembre 2015). E di questi quasi un milione riceve assegni sociali, prestazioni cioè che non corrispondono a contributi versati.
Ottanta euro al mese significano mille in più sull’anno. E dunque quasi 1,7 miliardi di spesa pubblica. Se il bonus fosse dimezzato (40 euro al mese, 500 l’anno), resterebbe anche lo spazio per innalzare l’area di esenzione dalle tasse a 8.140 euro (la stessa soglia dei lavoratori dipendenti) a circa mezzo milione di pensionati in più (costo: 260 milioni). Fuori dalla porta resterebbe però l’estensione della quattordicesima a un altro milione e mezzo di pensionati (costo: 800 milioni).
La scelta sarà tutta politica. E dunque nelle mani dello stesso Renzi. Il confronto tecnico tra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia è in corso e oggi si tenterà di fare un primo punto su opzioni, costi, platee. Tenendo ben presenti le controindicazioni fiscali: alzare la quattordicesima ad esempio rischia di far uscire alcune fasce di pensionati dalla zona di Irpef zero, anche qualora questa fosse ampliata. Una soluzione sembra al momento lontana. Il ministro del Lavoro Poletti tergiversa: «Abbiamo bisogno di fare un intervento sulle pensioni minime, o lo facciamo incrementando e allargando la quattordicesima, o lo facciamo in un’altra maniera, ma abbiamo bisogno di dare più soldi alle pensioni più basse».
Il rischio, in ogni caso, è quello di premiare chi non ne ha davvero bisogno, come d’altronde capitato con gli 80 euro. Tra i pensionati che prendono fino a 500 euro al mese (la soglia minima integrata dallo Stato) ci sono anche destinatari di doppi assegni o di reversibilità. Così come – lo ricordava di recente il presidente Inps, Tito Boeri – sette quattordicesime su dieci vanno a non poveri (perché magari coniugati con percettori di ricchi vitalizi), suggerendo al governo di tener conto del reddito familiare per rafforzare le pensioni minime ed evitare storture.
D’altro canto la coperta della manovra d’autunno è corta, considerata pure la gelata dei conti. Ieri l’Istat nella sua nota mensile di agosto segnalava che «l’economia italiana ha interrotto la fase di crescita», condizionata da un lato «dal contributo negativo della componente interna» (i consumi decisamente rallentati) e dall’altro «dalla caduta produttiva del settore industriale». Certificata la crescita zero del secondo trimestre, nonostante gli auspici del governo a un più zero virgola purchessia, l’Istat vede «per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza». La fiducia dei consumatori «da gennaio ha perso circa nove punti ». E a preoccupare di più è il lavoro che manca.
Repubblica – 6 settembre 2016