Enrico Marro, Il Corriere della Sera. Quota 100 è costata finora ben 11,6 miliardi per mandare in pensione anticipata non più di 341.128 lavoratori in tre anni. Spesso lavoratori maschi (7 casi su 10) con una buona occupazione e retribuzioni di tutto rispetto. Tra coloro che hanno lasciato il lavoro fino a 5 anni prima (bastano 62 anni d’età e 38 di contributi) ci sono 107.237 dipendenti pubblici, con una pensione pari in media a 28.064 euro lordi annui, 166.282 dipendenti privati, con un assegno di 27.237 euro e 67.609 lavoratori autonomi con 17.893 euro.
Il punto su Quota 100 è stato fatto dall’Inps, con dati aggiornati al 31 agosto. L’istituto ricorda che il 31 dicembre scade il termine per maturare i requisiti per Quota 100, proprio mentre nella maggioranza si inasprisce lo scontro su come sostituire la riforma varata dal governo Conte 1. La Lega vuole una proroga di Quota 100, se non per tutti almeno per i lavoratori delle aziende in crisi, attraverso la costituzione di un fondo ad hoc nella prossima manovra. «Se il Pd vuole cancellare Quota 100 per tornare alla Fornero – attacca Matteo Salvini – la Lega farà le barricate. Piuttosto togliamo il Reddito di cittadinanza ai furbetti».
Ma il giudizio del Tesoro è negativo: Quota 100 è costata tanto (si arriverà a 18,8 miliardi di euro nel 2030) per mandare in pensione anticipata persone che nella maggior parte dei casi potevano tranquillamente continuare a lavorare, e senza che questo abbia favorito l’assunzione di giovani, come pure aveva promesso la Lega, che volle fortemente questa misura. Per tutti questi motivi l’Ocse, nel suo rapporto sull’Italia, ha chiesto di non prorogare Quota 100 oltre la scadenza del 31 dicembre del 2021. Ma la Lega e ampi settori della maggioranza lanciano l’allarme sullo «scalone» di 5 anni che si alzerebbe da un giorno all’altro, visto che si passerebbe dalla possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni ai 67 anni necessari per la pensione di vecchiaia.
In realtà il problema non è tanto questo, visto appunto chi ha utilizzato Quota 100. Serve invece introdurre forme flessibili di uscita dal lavoro o rafforzare quelle esistenti, così da andare incontro, questa volta, alla parte più debole del mondo del lavoro, a partire dai tanti che rischiano di perdere il posto dopo la pandemia e che spesso sono lavoratori che non riuscirebbero ad arrivare a 38 anni di contributi. Ecco perché il governo lavora, tra l’altro, alla proroga e all’ampliamento della platea di coloro che potrebbero accedere all’Ape sociale, l’assegno ponte (fino a 1.500 euro lordi al mese) che scatta a 63 anni (e fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia o di anzianità) per una serie finora limitata di categorie (con minimo 30 anni di contributi): disoccupati, invalidi, che assistono disabili. A questi si aggiungono 15 categorie di lavori gravosi, se si hanno almeno 36 anni di contributi. In particolare, potrebbe scendere a 30 anni il requisito per alcune categorie (manovali, alcuni operai) e aumentare il numero delle attività gravose.