«È evidente che, in prospettiva, se il regime sarà confermato, la perdita dovuta al ricalcolo tenderà a zero – si sottolinea nel report – in quanto la quota retributiva derivante dai contributi antecedenti il 31 dicembre 1995» (data in cui si esaurisce il retributivo puro) «perderà di peso». In realtà per le 174.535 lavoratrici che fino al 1° gennaio di quest’anno sono andate in pensione con Opzione donna l’assegno medio è risultato del 39,8% più basso rispetto alla media delle “anticipate” (1.171,19 euro contro 1.946,92 euro).
Ma l’Inps fa notare che «tale differenza di importo è in parte riconducibile al ricalcolo contributivo e in parte alla minore contribuzione rispetto alle anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l’opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione». Sempre secondo gli esperti dell’ente previdenziale, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2022 «la perdita economica media stimata dovuta al solo ricalcolo contributivo è pari al 14,2% della pensione che sarebbe stata percepita se alla pensionata fosse stato applicato il regime (misto o retributivo) che le competeva». Una penalizzazione destinata ad azzerarsi. Anche per questo motivo nel rapporto si afferma che «rispetto ad altri strumenti per l’uscita anticipata, il ricalcolo contributivo del trattamento pensionistico meglio risponde ai requisiti di equità intergenerazionale e attuariale, e quindi di maggiore coerenza con le esigenze di sostenibilità del sistema».