«Ho chiesto ai ministri Pier Carlo Padoan e Giuliano Poletti di individuare un meccanismo per consentire più flessibilità in uscita. Spero che riusciremo a trovare un primo rimedio già con la Stabilità». A riaprire un dossier che sembrava per ora chiuso è lo stesso premier Matteo Renzi rispondendo alla lettera di un lettore sull’Unità. Un’ipotesi cara al premier, quella delle libera uscita anticipata dal mondo del lavoro con un assegno più basso, ma che comporta due ordini di problemi: quello delle risorse (l’opzione minima, come scriviamo qui in pagina, ha il costo di un miliardo), e quello dei rapporti con Bruxelles. Nessuno lo dice, ma il nodo è anche europeo. Proprio mentre si chiede flessibilità sul deficit, rivendicando le riforme fatte, rimane difficile portare all’attenzione di Bruxelles una norma che in qualche modo alleggerirebbe la riforma Fornero. Riforma lodata dallo stesso Renzi a Cernobbio, davanti alla platea di economisti e imprenditori riuniti a inizio settembre.
Da qui, quindi, la cautela del ministro Padoan: «La questione delle pensioni – ha ribadito proprio ieri il responsabile dell’Economia – va vista nel complesso. I principi fondamentali del sistema pensionistico italiano, che è molto stabile e solido, devono essere preservati». Padoan ha invece confermato che è allo studio un intervento sugli esodati: «Vedremo nella legge di Stabilità cosa si può fare».
Si vedrà, dunque, e alcuni dei collaboratori del premier a Palazzo Chigi hanno dei dubbi che l’intervento sulla flessibilità in uscita si possa fare ora, già nella legge di Stabilità. Forse più in là, durante l’iter del provvedimento, attraverso un disegno di legge collegato. Il punto è soprattutto politico, dal momento che la richiesta viene da più parti: non solo la minoranza interna al Pd, ma anche gli alleati centristi. Non a caso dopo l’accelerazione impressa ieri mattina dal premier sono subito intervenuti i due presidenti delle commissioni lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano della minoranza “dialogante” del Pd e Maurizio Sacconi del Nuovo centrodestra. Damiano plaude alla risposta data al lettore dell’Unità da Renzi, che va nella «giusta direzione»: «Il fatto che il premier abbia interessato al problema i ministri Padoan e Poletti è molto positivo. Noi siamo grandi sostenitori della flessibilità e siamo pronti a sederci a un tavolo di confronto per dimostrare che, nel medio-lungo periodo, si può ottenere l’obiettivo del costo zero». Ancora più tranchant Sacconi: «La correzione della legge Fornero con regole di flessibilità è indifferibile», dice l’ex ministro. Che aggiunge: «Sono urgenti disposizioni che consentano uscite anticipate, ancorché penalizzate, ed altre che rendano flessibili le modalità di alimentare la posizione previdenziale individuale consentendo al datore di lavoro di versare per il lavoratore anche una volta cessato il rapporto o di farlo per l’intero nel caso di part time degli ultimi anni, recuperando periodi di laurea e di apprendimento in modo modulare, utilizzando Tfr ed accantonamenti complementari».
Il rilancio della questione della flessibilità in uscita è da inquadrare soprattutto nel quadro dei rapporti con la minoranza interna al Pd, proprio ora che sembra più vicino un accordo sulla riforma costituzionale. Dal momento che su un’altra delle richieste della minoranza del Pd, ossia prevedere una gradualizzazione nella cancellazione della tassa sulla prima casa che la mantenga per i più ricchi, Renzi è inamovibile: «Sulla prima casa c’è chi discute. Qualcuno vorrebbe far pagare ad alcune categorie. Già, ma a chi? – scrive il premier sempre sull’Unità -. Non ci sono criteri oggettivi, per cui i singoli Comuni hanno valutazioni differenti, il Catasto va rivisto e quando si è provato a distinguere le varie categorie si è fatto il pasticcio dell’Imu e della Tasi. Sarebbe un gigantesco autogol passare i prossimi sei mesi a decidere chi paga e chi no, senza avere un criterio uniforme». Insomma la questione è chiusa, checché ne dica la minoranza del Pd: via la tassa sulla prima casa, per tutti e per sempre.
L’ ipotesi sul tavolo. Anticipo del pensionamento di 2-3 anni rispetto ai requisito di vecchiaia con un taglio del 3-4% l’anno sull’assegno
Mini-intervento da un miliardo, obiettivo copertura senza deficit
Anticipo del pensionamento di 2-3 anni rispetto ai requisito di vecchiaia con un taglio del 3-4%
Nella Nota di aggiornamento al Def la descrizione delle misure che entreranno in Stabilità non contiene la voce pensioni. Eppure il tema resta sul tavolo dei tecnici, in attesa che maturi la decisione politica. L’ipotesi d’intervento più avanzata già messa a punto prevede una prima (parziale e forse temporanea) introduzione di uno schema di flessibilità in uscita con penalizzazioni rispetto agli anni di anticipo sui requisiti di vecchiaia, con una maggior spesa di circa un miliardo nel primo anno di applicazione.
I paletti fissati sono tre: l’anticipo non potrà essere per più di 2-3 anni sul requisito anagrafico, la penalizzazione non dovrà essere inferiore al 3-4% per ogni anno di anticipo (altrimenti non verrebbero rispettati gli equilibri attuariali legati all’aspettativa di vita dei pensionandi) e l’impatto della maggior spesa di cassa dovrà essere il più leggero possibile sul nuovo disavanzo programmato. È quest’ultima clausola che ancora frena il Governo dall’annuncio definitivo che la nuova flessibilità arriverà. Perché se non si vuole finanziare in deficit un intervento sulle pensioni lo si deve almeno in parte «autofinanziare» all’interno della spesa previdenziale attuale.
È qui che anche i tecnici si sono fermati: quanto sarebbe sostenibile sul piano giuridico un nuovo intervento di solidarietà sulle pensioni sopra una certa soglia? La misura di prelievo temporaneo previsto dal Governo Letta non è mai stata bocciata dalla Consulta ma i risparmi che garantisce sono insufficienti. Bisognerebbe fare di più, legando la nuova solidarietà non solo al livello del reddito pensionistico dei soggetti interessati ma, anche, alla distanza tra il valore monetario di quegli assegni e quello che sarebbe stato in caso di calcolo interamente contributivo. Alcuni ambienti tecnici vicini al dossier negano anche questa forma di copertura, sottolineando come un bilancio intertemporale della nuova flessibilità è in grado di garantire più risparmi che spese. Ma, appunto, resta il nodo della cassa immediata da finanziare.
Di sicuro si può dire che, se venisse adottata, una misura di flessibilità in uscita con penalizzazioni potrebbe in larga parte cancellare l’ultima coda di «esodati», evitando così con una soluzione strutturale di ricorrere alla settima salvaguardia di cui tanto si discute. «C’è un’emergenza esodati che stiamo esaminando. Vedremo nella legge di Stabilità cosa si può fare» ha detto ieri il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a margine di un convegno di Eunews. Padoan con il collega Poletti verrà sentito dalla Commissione Lavoro della Camera nei prossimi giorni anche sulla base dei nuovi dati Inps sulle platee interessate. È nota la posizione dell’Economia sulla questione: i principi fondamentali del sistema pensionistico italiano, che è molto stabile e solido, devono essere preservati. E un “Fondo esodati” non utilizzato da cui pescare risorse non esiste: si tratta di autorizzazioni di spesa con proiezioni pluriennali e il trascinamento degli eventuali risparmi ad anni successivi a quelli previsti in sede di stanziamento costituisce una deroga alle norme contabili. Insomma anche in questo caso – come per l’ipotesi della cosiddetta “Opzione Donna”, che prevedeva fino a fine 2015 per le lavoratrici di andare in pensione con 57 anni d’età e 35 di contributi ma con tutto l’assegno ricalcolato col contributivo (e quindi con una perdita media del 25-30%) – si dovranno reperire risorse certe.
Se non si decidesse di infilare la flessibilità sulle pensioni in Stabilità resta l’idea di un ddl collegato. Ma la soluzione contabile dovrà essere comunque trovata prima e dovrà essere solida e compatibile con gli equilibri del sistema previdenziale.
Il Sole 24 Ore – 20 settembre 2015