Il ministero del Lavoro sarebbe comunque intenzionato a intervenire sui trattamenti più elevati per ragioni di equità
Sono 652mila, per la precisione 652.727, i pensionati che percepiscono un assegno superiore ai 3mila euro al mese (ovviamente può essere frutto anche di più trattamenti diversi); di questi 563.615 sono uomini, l’86,3% del totale (le donne si fermano a quota 89.112, il restante 13,7%). L’importo complessivo di questi assegni è di poco superiore ai 34,7 miliardi; l’importo medio annuo è di circa 53mila euro.
L’Inps snocciola altri dati sui trattamenti pensionistici elevati; fornendo ulteriori elementi di discussione (e di riflessione) sull’annunciato intervento sui maxi-assegni da parte del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini (si veda l’intervista integrale sul quotidiano di ieri).
Il numero complessivo dei pensionati è di 16,5 milioni: quindi quelli che percepiscono sopra i 3mila euro al mese sono il 3,9%, mentre quelli con assegni mensili fino a 3 volte il minimo (1.443 euro) sono 11,2 milioni. Il confronto è ancora tra “Davide e Golia” anche sul fronte dei costi: complessivamente l’esborso pensionistico 2012 è stato di 270,5 miliardi. Il costo dei percettori degli assegni fino a 1,443 euro è stato di 114,6 miliardi. Quello dei 652mila soggetti con assegni sopra i 3mila euro di 34,7 miliardi.
Tutto questo non fa che confermare la «costruzione impropria» del nostro sistema pensionistico, troppo sbilanciato sul primo pilastro, quello pubblico, sottolinea l’economista, Leonello Tronti: «In Inghilterra e Svizzera ci sono pensioni pubbliche abbastanza modeste e poco distanti tra loro, con una forte componente redistributiva; ed è incoraggiato invece il ricorso al privato, il secondo pilastro». C’è poi il nodo del cumulo di pensioni pubbliche. Qui, per Tronti, un eventuale tetto «dovrebbere essere messo sull’insieme dei trattamenti». Mentre per quanto riguarda le risorse liberate Tronti evidenzia come «dovrebbero essere indirizzare per alzare gli assegni più bassi. Ma anche per sostenere i consumi e gli investimenti».
Sul tavolo del ministero del Lavoro ci sono diverse ipotesi allo studio per intervenire sulle “pensioni d’oro”. Di tutte si stanno valutando pro e contro. C’è la proposta dell’ex premier, Giuliano Amato, di un fondo alimentato pure da un contributo a carico delle prestazioni più elevate (per innalzare gli assegni più bassi). C’è poi la possibilità di rendere strutturale il blocco dell’indicizzazione delle pensioni più alte (già ora temporaneamente non sono indicizzate al costo della vita); e calcolare l’eventuale prelievo solidaristico sulle pensioni retributive in pagamento partendo dal loro scostamento dal livello di equilibrio attuariale se fossero state calcolate con il sistema contributivo e tenendo conto delle aspettative di vita dei beneficiari. Ma interventi per rendere più compiuto il sistema attuale con una più forte componente mutualista sono sostenuti da sempre dal presidente del Mefop, Mauro Marè, e anche da esperti del settore, come Pietro Ichino o Cesare Damiano.
Proposte più o meno costose; e con aspetti normativi e applicativi da chiarire per evitare un nuovo disco rosso da parte della Corte costituzionale che ha già bocciato il contributo di solidarietà. Da quanto trapela dal ministro del Lavoro, alla fine, qualche “intervento esemplare” legittamato da ragioni di equità sulle pensioni altissime ci sarà, da cui però, visti i numeri snocciolati dall’Inps, difficilmente ci si potrà attendere risorse che possano incidere in modo significativo sulle pensioni basse (che rischiano quindi di dover essere sostenute dalla fiscalità generale).
Per l’economista del Cerm, Nicola Salerno, è giusto intervenire non solo sui paperoni, ma sull’intero sistema: «Si deve agire confrontando i tassi di rendimeno implicito e così ricalcolare gli assegni. Per questo è importante che l’Inps fornisca la mappatura completa delle pensioni e delle carriere delle persone. E con gli eventuali risparmi ottenuti bisogna fare meglio la redistribuzione all’esterno del sistema pensionistico».
Un intervento sui maxi-assegni è importante «anche per ragioni morali e di giustizia sociale», sottolinea l’esperto di previdenza, Fabio Venanzi, che sconsiglia il governo di rinnovare, o rendere strutturale, il blocco delle indicizzazioni: «Con le misure vigenti un pensionato con un assegno mensile di poco superiore ai 1.486,29 euro ha avuto nel biennio una perdita di oltre mille euro l’anno».
Il Sole 24 Ore – 29 agosto 2013