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“Pensioni? Ultima priorità. Prima le tasse e i dipendenti pubblici”. Il viceministro Zanetti: meno imposte su costo del lavoro. Bene la Bundesbank sul ritiro a 69 anni

Francesca Schianchi. «La Bundesbank parla di andare in pensione a 69 anni nel 2060? Non mi stupirebbe se tra qualche tempo dicessero che l’uscita a quell’età va anticipata al 2046». Come previsto in Italia: perché, viceministro Enrico Zanetti? «Perché per essere sostenibile, il sistema pensionistico deve fare i conti con la realtà demografica. Il sistema italiano va preservato: altri Paesi – chi prima, chi dopo – convergeranno in quella direzione».

Perché allora al governo parlate di riaprire il cantiere delle pensioni?

«Attenzione: noi non parliamo di abbassare l’età pensionabile, ma di introdurre un meccanismo di flessibilità, che grava in minima parte sul bilancio dello Stato, per consentire di anticipare l’entrata in pensione».

Attraverso l’Ape, l’anticipo pensionistico…

«L’Ape, su cui i conservatori fanno facili ironie, è un compromesso pensato per non scardinare un sistema che è opportuno resti dov’è: e questo non perché vogliamo essere poco amati dai cittadini, ma perché abbiamo il dovere di mantenere sostenibile il sistema, perché sia una sicurezza per i pensionati di oggi e di domani».

Il segretario Cisl Furlan fa notare che pensionare «anziani» e sostituirli con giovani è necessario per rendere più innovative le aziende. Concorda?

«E’ un ragionamento legittimo, ma se questa è la preoccupazione ci sono misure più dirette e efficaci per rendere le aziende competitive: riducendo le tasse su profitti e costo del lavoro».

Quanti soldi stanzierete per le pensioni?

«Una cifra esatta oggi è difficile da quantificare, ma bisogna avere chiaro un ordine di priorità».

Il vostro qual è?

«Prima di tutto, vengono le norme per aiutare il Paese a crescere, e quindi bisogna evitare l’aumento dell’Iva e ridurre la pressione fiscale sul lavoro. Poi bisogna implementare misure di protezione sociale per chi non ha né lavoro né pensione. E, dopo anni di blocco, bisogna rinnovare i contratti del pubblico impiego. Poi, e sottolineo tre volte mi spiace, ma soltanto poi, si può pensare a misure redistributive per rendere più generoso il sistema previdenziale».

Mi pare di capire che a quel punto rimarranno ben poche risorse…

«Le risorse per le pensioni ci saranno, ma difficilmente potranno coprire per intero le aspettative di chi, in modo secondo me discutibile, pone le pensioni al primo posto nella classifica delle priorità».

La Cgil chiede di stanziare almeno 2,5 miliardi: impossibile?

«Chi chiede 2,5 miliardi pensa che quello debba essere il punto di partenza della manovra, poi con quel che resta si abbassano le tasse e si fa il resto: noi invece diciamo prima le misure per creare ricchezza e dopo le misure di natura redistributiva».

Considerata la frenata del Pil, c’è il rischio che il pacchetto pensioni salti?

«Secondo noi non deve saltare nulla, ma è necessario un ordine di priorità».

Lo stop del Pil mette in qualche modo a rischio i conti pubblici?

«No, perché continuiamo a essere oculati, nessun rischio sui conti. Chiaro però che questo rallentamento della crescita – che speriamo venga compensato nel secondo semestre – è un elemento di difficoltà in un’ottica di manovra espansiva. Serve ancora più determinazione con l’Europa per ottenere tutta la flessibilità possibile».

Perché dovrebbe concederne ancora all’Italia?

«Perché stiamo andando avanti con un processo di riforme. Dove sta scritto che la flessibilità debba essere concessa una tantum, visto che il processo di riforma non si ferma?».

La Stampa – 17 agosto 2016 

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