Il riscatto della laurea servirebbe non solo, come avviene già adesso, a prendere una pensione un po’ più alta. Ma anche a lasciare il lavoro qualche anno prima. Arriva un’altra possibile novità dal tavolo di confronto fra governo e sindacati sulle norme per la previdenza da inserire nella prossima Legge di bilancio. Il versamento dei contributi per gli anni passati all’università non avrebbe più solo l’effetto di aumentare il cosiddetto montante, cioè il gruzzolo sul quale calcolare l’assegno dell’Inps. Ma sarebbe conteggiato anche ai fini dei requisiti per la pensione, cioè per raggiungere il numero minimo di anni di contributi. Non è il riscatto «flessibile» di cui si era parlato qualche settimana fa, e cioè la possibilità di decidere liberamente quanti contributi pagare per ogni anno di università. Il calcolo resterebbe fisso, legato all’anzianità e alla busta paga al momento della domanda. E il conto resterebbe salato, visto che adesso un uomo di 40 anni con un reddito di 52 mila euro lordi l’anno deve pagare quasi 60 mila euro.
Sarebbe l’effetto della ricongiunzione gratuita dei contributi versati a enti previdenziali diversi, ad esempio per chi ha lavorato nel settore pubblico e poi in quello privato, una delle misure sul tavolo della concertazione fra governo e sindacati. Resta da capire quali saranno, alla fine, gli interventi che entreranno nella Legge di Bilancio da presentare dopo l’estate. Tutto dipende dai soldi che saranno stanziati. E da quanto costeranno le altre tessere di quel mosaico di spese chiamato Legge di bilancio. Dal lavoro tecnico dei giorni scorsi è venuto fuori che il pacchetto completo costerebbe poco meno di 2,5 miliardi di euro l’anno. Il governo non ha preso impegni precisi. Durante l’incontro di ieri, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha promesso una dotazione «rilevante». Più prudente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini: «le risorse saranno non trascurabili». Ma indiscrezioni governative parlano di un costo massimo di circa 1,5 miliardi. Bisognerà scegliere, probabilmente. Di sicuro nella Legge di bilancio dovrebbero entrare l’Ape, cioè l’uscita anticipata dal lavoro fino a un massimo di tre anni, la ricongiunzione gratuita dei contributi, compreso l’effetto sul riscatto della laurea. E anche l’estensione ad altri due milioni di persone della 14/ma, cioè l’assegno extra che a luglio incassano i pensionati a basso reddito. Oggi la 14/ma va a chi prende meno di 10 mila euro lordi l’anno. L’asticella massima potrebbe essere alzata a 13 mila euro, i sindacati chiedono a 16 mila. Anche qui c’è una novità. È probabile che, per limitare i costi, il bonus non sia fisso ma variabile: nella sua versione più ricca potrebbe essere spalmata nel corso dell’anno, 80 euro al mese come per i lavoratori dipendenti. Ma la 14/ma sarebbe molto più bassa per chi, pur rientrando nella nuova platea, ha un reddito più alto e meno anni di contributi. Sembrano avere meno probabilità di entrare nella Legge di bilancio, invece, gli interventi per i lavoratori precoci, quelli per le attività usuranti, e l’innalzamento della no tax area.
Soddisfatti i sindacati ma con accenti diversi. Il segretario della Cisl, Annamaria Furlan, parla di «incontro importante e positivo». Per Susanna Camusso (Cgil) è «difficile dare un giudizio senza quantificare le risorse». Carmelo Barbagallo (Uil) dice che lo stanziamento dovrà essere non rilevante ma «rilevantissimo». (Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera)
Ape, ricongiunzioni gratis e «salva-precoci» a settembre la «dote» sul piano-pensioni
Al prossimo tavolo tecnico del 7 settembre e al round politico del 12 anche la definizione degli interventi su «usuranti» e no tax area. La maggiore flessibilità per i pensionamenti anticipati con l’Ape, le semplificazioni per consentire un maggior flusso di uscite ai lavoratori impegnati in attività usuranti, ricongiunzioni non più onerose per chi ha versamenti contributivi in gestioni diverse. Esce confermato i n tutte le sue componenti il pacchetto di misure sulla previdenza messo a punto dal Governo e vagliato ieri al tavolo politico con i sindacati. Misure che sono state esaminate nei dettagli nei tavoli tecnici dell’ultimo mese e che avranno un seguito a settembre (il 6 sui temi del lavoro e il 7 sulla previdenza). Con l’obiettivo di fertillizzare il terreno per un’intesa in vista del nuovo round politico fissato per il giorno 12. A quel punto il Governo dovrebbe scoprire le carte sulla «dote» complessiva per il piano pensioni e sulla scelta definitiva sulle maggiori risorse da destinate ai pensionati, tramite una 14esima estesa (o più robusta) oppure per via di un’allargamento della no tax area.
Ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha assicurato ai sindacati che le risorse saranno rilevanti. La cifra arriverà come detto a settembre, al momento l’asticella oscillerebbe attorno a 1,5 miliardi.
L’Ape con prestito
È la misura madre della manovra-pensioni disegnata dai tecnici di Tommaso Nannicini e Giuliano Poletti: consentirebbe a lavoratori dipendenti privati e pubblici un anticipo fino a 36 mesi beneficiando di un prestito bancario assicurato rimborsabile nei 20 anni di pensionamento successivo all’anticipo. Il finanziamento può essere coperto anche tramite un anticipo di capitale dalla previdenza complementare (per chi ce l’ha) tramite uno strumento ad hoc denominato Rita (Restituzione integrativa temporanea anticipata). Sul finanziamento bancario si applicherà un tasso annuo nominale (Tan) che nelle simulazione del Sole 24Ore è stato ipotizzato al 3% tenendo conto dell’andamento dei tassi pre-Brexit. Sul rimborso è previsto un abbattimento fiscale diversificato a seconda dei beneficiari:?totale per i disoccupati, a carico delle aziende nei casi di ristrutturazione e graduale sul reddito nei casi di scelta volontaria. Proprio la curva di queste detrazioni resta uno dei particolari ancora da definire.
Le altre misure per i pensionandi
Per garantire altre tre canali di uscita flessibile per platee significative ma sostenibili di lavoratori dei primi anni Cinquanta, il Governo ha messo sul tavolo una semplificazione del regime delle ricongiunzioni: non saranno più onerose e potranno essere effettuate anche per raggiungere il requisito dell’anticipo e non solo quello per la vecchiaia; inoltre verrebbe cancellato il divieto di unificare i versamenti contributivi in diverse gestioni se almeno in una di queste s’è già raggiunto il requisito base per la vecchiaia. Altra semplificazione riguarda gli «usuranti»: l’obiettivo è quello di allargare il flusso di uscite (oggi non più di 3mila su 11mila richieste) senza allargare troppo la platea. Il meccanismo passerebbe per una cancellazione dei vincoli attuali che prevedono, tra l’altro, l’obbligo di aver fatto un lavoro usurante negli ultimi 7 dei 10 anni di impiego o, dal 2019, per almeno la metà dell’intera vita contributiva. L’altra misura presentata riguarda poi i lavoratori cosiddetti precoci, ovvero chi ha lavorato prima dei 18 anni. Si pensa al riconoscimento di un “bonus” contributivo maggiorato per coloro che hanno messo insieme almeno uno o due anni di lavoro prima della maggiore età; anche in questo caso la scelta determinerà la platea dei beneficiari.
Le risorse per i pensionati
Due le ipotesi sul tavolo: rafforzare la “quattordicesima” a coloro che l’hanno già incassata (le pensioni fino a 750 euro al mese) o ampliare la platea comprendendo gli assegni fino a 1.250 euro (si passerebbe da 1,2 a 2,5 milioni di beneficiari). Due opzioni che, a loro volta, potrebbero essere archiviate se si scegliesse di estendere la “no tax area” oggi riconosciuta fino a circa 8mila euro per gli over 75 e circa 7.500 per gli altri pensionati.
Solo questa operazione potrebbe costare fino a 900 milioni di euro, cui si devono aggiungere i 600 prenotati per l’Ape (l’anticipo pensionistico con prestito bancario assicurato) e le risorse per le altre misure: i precoci appunto (su cui per il momento non ci sono stime), l’allentamento dei requisiti per il riconoscimento dell’anticipo ai lavoratori impegnati in attività usuranti e la cancellazione degli oneri previsti per le ricongiunzioni di contributi versati in gestioni diverse (costo pari a circa 380 milioni a regime dal 2027 con una spesa annua non superiore ai 50 milioni su un flusso di uscita di 70-80mila lavoratori).
La “fase due”
Se il pacchetto di misure entrerà nella legge di Bilancio 2017 è probabile che il Governo punti su una seconda fase di interventi strutturali. Si partirebbe da una valutazione sul meccanismo di adeguamento dei requisiti per l’accesso alla pensione legati alla speranza di vita. Poiché a partire dal 2019 si passerà ad una cadenza biennale anziché triennale, l’idea è quella di riconsiderare questo meccanismo partendo per esempio da alcune esclusioni (gli usuranti) senza però comprometterne il ruolo fondamentale di determinazione dei coefficienti di trasformazione dei montanti contributivi in pensioni. Le correzioni potrebbero poi riguardare il meccanismo di indicizzazione delle pensioni all’inflazione. La legge di Stabilità 2016 ha prorogato il regime attuale (provvisorio) a tutto il 2018. Le opzioni sono diverse: tornare alla perequazione su tre fasce prevista dalla legge 338 del 2000 uscendo dalle cinque fasce che erano state introdotte dal Governo Letta e che prevedevano una copertura solo fino al 50% delle pensioni tra le 5 e le 6 volte il minimo oppure riconsiderare il meccanismo con una soluzione strutturale diversa mantenendo la garanzia dell’effetto zero sugli assegni in casi estremi di deflazione.(Davide Colombo e Marco Rogari – Il Sole 24 Ore)
30 luglio 2016