Il percorso previdenziale di questi anni non è stato mai facile, anzi molto difficile e complesso. Negli ultimi decenni il sistema previdenziale è stato, infatti, oggetto di numerose riforme tutte finalizzate al contenimento della spesa, al riordino e all’armonizzazione dei diversi regimi pensionistici. Il percorso tanto accidentato degli interventi previdenziali non si fermerà qui e dovremo registrare ulteriori modifiche, integrazioni, cambiamenti, che renderanno sempre meno sicuro e certo il futuro degli attuali lavoratori ma anche degli stessi già pensionati.
Con l’ultimo rapporto dell’Osservatorio sulle pensioni, l’Inps ha comunicato quali sono state le variazione registrate negli ultimi mesi e quale è lo scenario nel breve periodo.
La spesa complessiva annua prevista risulta nuovamente in aumento, di circa l’1,57 % e si assesta poco oltre i 200 miliardi di euro. Tale cifra, coperta per il 90% circa dalle gestioni previdenziali, concorre a finanziarie 17,8 milioni di pensioni, con un calo di 143mila unità rispetto all’inizio del 2017. Le pensioni di natura previdenziale risultano essere quasi 14 milioni, mentre sono 3,9 milioni le prestazioni assistenziali. Un dato particolarmente interessante è quello relativo alla consistenza degli assegni pensionistici erogati. Il 70,8 % di essi è infatti inferiore ai mille euro, cifra che sale all’86,6 % se si considerano gli assegni erogati per le donne pensionate. Ovviamente non si può parlare genericamente di “pensioni” sotto i mille euro, dal momento che il dato diffuso dall’Inps è relativo ai singoli assegni ( che potrebbero essere cumulati da un beneficiario ), tuttavia si tratta di un dato significativo, soprattutto perché riguarda quasi 13 milioni di assegni del settore privato.
Un tormentato iter decennale. Ma il percorso previdenziale di questi anni non è stato mai facile, anzi molto difficile e complesso. Negli ultimi decenni il sistema previdenziale è stato, infatti, oggetto di numerose riforme tutte finalizzate al contenimento della spesa, al riordino e all’armonizzazione dei diversi regimi pensionistici. Ricordiamo che ancora adesso il modello pensionistico italiano è basato sul regime tecnico-finanziario della ripartizione pura in quanto i contributi versati dal settore produttivo, aziende e lavoratori, sono utilizzati per pagare le pensioni in essere senza alcun accumulo di capitale. Tale sistema risulterebbe in equilibrio solamente quando, annualmente, il flusso delle entrate contributive fosse sufficiente ad erogare le prestazioni. La normativa vigente sino all’inizio degli anni novanta garantiva un livello di prestazioni sino all’ottanta per cento dell’ultima retribuzione, ma che per i dipendenti pubblici raggiungeva sino a quasi il 100 %. Il calcolo della pensione era effettuato secondo il metodo retributivo ed il livello della prestazione risultava indipendente dall’età al pensionamento. A ciò si aggiungeva il fatto che i requisiti di età ed anzianità previsti per l’accesso alla pensione erano particolarmente favorevoli. Tuttavia la combinazione di tali elementi assicurava un livello generale delle prestazioni troppo elevato rispetto alle risorse finanziarie disponibili. Inoltre il progressivo invecchiamento della popolazione quale effetto combinato dei due fenomeni demografici , aumento della vita media e progressiva riduzione dei tassi di natalità, ha portato al limite di una crisi irreversibile del sistema. Pertanto i provvedimenti normativi di modifica dell’ordinamento, da un lato hanno avuto come obiettivo l’innalzamento dell’età pensionabile, dall’altro la diminuzione del livello delle prestazioni erogate. Per compensare la riduzione dell’importo delle prestazioni garantite dall’assicurazione di base sono anche state introdotte nell’ordinamento forme di previdenza complementare.
I principali provvedimenti emanati in materia previdenziale iniziano a partire dalla grande crisi economica che ha investito l’Italia nel 1992.
Dalla Riforma Amato all’Ape. Con il D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 (“Riforma Amato”) è stato realizzato un graduale incremento dell’età pensionabile da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, un innalzamento del requisito minimo di contribuzione utile da 15 a 20 anni, un allargamento del periodo di riferimento retributivo per il calcolo della pensione dagli ultimi cinque anni agli ultimi dieci anni.
Con la legge 8 agosto 1995, n. 335 (“Riforma Dini”) è stato predisposto il cambiamento dal sistema retributivo al sistema contributivo per il calcolo della pensione per i soggetti che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 e l’introduzione di una soglia minima di età anagrafica da abbinare ai 35 anni di contribuzione utile per l’accesso alla pensione di anzianità. Sono state, anche introdotte le cosiddette “ finestre d’accesso” alla pensione di anzianità per ritardare, ulteriormente l’uscita dal lavoro e quindi ridurre i periodi di erogazione delle pensioni. Inoltre si è puntato all’ armonizzazione della normativa tra i diversi fondi previdenziali, ed è sta prevista l’istituzione della gestione separata dell’Inps, con estensione delle tutele previdenziali ai collaboratori coordinati e continuativi ed ai professionisti senza copertura assicurativa. La riforma Dini, introducendo il sistema di calcolo contributivo delle prestazioni pensionistiche, ha profondamente cambiato l’intero sistema pensionistico italiano ed ha rappresentato l’effettiva grande modifica strutturale di tutto il sistema previdenziale italiano. Con il sistema contributivo la pensione non è più legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa. La fase di attuazione della riforma è avvenuta, comunque, in fasi successive coinvolgendo i lavoratori in modo diverso a seconda della loro anzianità contributiva al 31 dicembre 1995. Ha stabilito infatti che il sistema di calcolo da utilizzare si differenziasse a seconda dell’anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1995: ai lavoratori che possono contare su almeno 18 anni di contributi si applica il vecchio sistema retributivo; a coloro che possiedono meno di 18 anni di contributi versati si applicano entrambi i metodi di calcolo, e cioè il retributivo per l’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995, e il contributivo per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996; ai lavoratori assunti per la prima volta dopo il 1° gennaio 1996, la pensione viene calcolata completamente con le regole del sistema contributivo. Nel caso del contributivo l’importo della pensione annua si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all’età del lavoratore alla data di decorrenza della pensione. I coefficienti di trasformazione dipendono dalle aspettative di vita e ne è prevista la revisione periodica.
Le leggi che poi si sono susseguite hanno riguardato aspetti più particolari e forse meno incisivi. Con legge 27 dicembre 1997, n. 449 ( “Riforma Prodi” ) si è proceduti all’aumento dei requisiti di accesso alla pensione di anzianità per i lavoratori autonomi e alla piena parificazione dei pensionamenti anticipati nel pubblico impiego alle pensioni di anzianità erogate dall’Inps.
Con la legge 28 dicembre 2001, n. 448 (“Legge Finanziaria 2002”) sono stati realizzati adeguamenti delle pensioni minime e delle pensioni sociali, con elevazione dei relativi importi, per motivi reddituali, alla cifra di un milione di lire.
La legge 15 ottobre 2003, n. 289 ha Introdotto la cumulabilità totale, soppressa in passato, tra pensione di anzianità, liquidata in presenza di 37 anni di contribuzione e 58 anni di età, con i redditi di lavoro autonomo e dipendente.
La legge 24 dicembre 2003, n. 350 (“Legge Finanziaria 2004”) ha introdotto il contributo di solidarietà, nella misura del 3 %, sulle pensioni superiori a venticinque volte quello stabilito dall’art.38 della Legge 448/2001 (un milione di lire), rivalutato annualmente.
La “Riforma Maroni” (legge 23 agosto 2004, n. 243), è rimasta famosa per l’introduzione del cosiddetto “scalone ”, con contestuale inasprimento dei requisiti per la pensione di anzianità ed innalzamento, con decorrenza 1° gennaio 2008, dell’età anagrafica da 57 a 60 anni. Per le donne veniva consentita la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni di età e 35 anni di contribuzione a condizione che optassero per l’ integrale calcolo contributivo della pensione.
Il D.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 provvedeva al riordino della disciplina della previdenza complementare.
Il D.lgs. 6 febbraio 2006, n. 42 ha, poi, introdotto l’istituto della totalizzazione dei periodi assicurativi per il conseguimento della pensione di vecchiaia, di anzianità, di inabilità e della pensione ai superstiti.
Con la legge 27 dicembre 2006, n. 296 ( “Legge Finanziaria 2007” ) è stato disposto l’incremento di cinque punti percentuali della contribuzione dovuta dagli iscritti alla gestione separata dell’Inps e la anticipazione al 1° gennaio 2007 della riforma della previdenza complementare.
A fine 2007 con la legge 24 dicembre 2007, n. 247 sono stati introdotti nuovi requisiti d’accesso alla pensione e contemporaneamente l’abolizione dello scalone di Maroni. Nasce così, a partire dal 1° gennaio 2009, il “ sistema delle quote” determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
Con la legge 3 agosto 2009 n. 102 l’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego viene aumentata gradualmente fino a 65 anni e si ha l’adeguamento triennale dei requisiti anagrafici per il pensionamento collegato all’incremento della speranza di vita accertato da Istat. Viene anche prevista la rateizzazione del trattamento di fine rapporto lavorativo, con buona pace dei pensionati.
La legge 4 novembre 2010, n. 183 (“Collegato Lavoro”) si limita ad intervenire sugli indennizzi per le aziende commerciali in crisi, la contribuzione figurativa per la malattia, e il riordino della disciplina dei lavori usuranti.
La legge 30 luglio 2010, n. 122 rimarrà famosa per l’introduzione della “ finestra mobile ” per la liquidazione della pensione: 12 mesi per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per i lavoratori autonomi, dalla maturazione dei requisiti ma , anche, per l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni delle lavoratrici del pubblico impiego e l’adeguamento dei requisiti anagrafici agli incrementi della speranza di vita.
Con il Decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, la “Riforma Fornero”, avviene un ulteriore grande cambiamento del sistema previdenziale. Viene meno il sistema delle “quote” ma è realizzata l’estensione a tutti del sistema di calcolo contributivo anche se in forma pro-rata a partire dal 2012. Ma quello che più di tutto creerà un forte malumore, che si manifesta ancora adesso con le varie proposte di abrogazione, è il drastico innalzamento dell’età per le pensioni di vecchiaia e degli anni di contribuzione per quelle anticipate.
La legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014 ) introduce il contributo di solidarietà sugli importi di pensione superiori a quattordici volte il trattamento minimo Inps.
La legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Legge di stabilità 2015 ) prevede un tetto alle pensioni calcolate con il sistema misto Fornero che non potrà superare l’importo che risulterebbe dal calcolo interamente retributivo, ma anche l’abolizione delle riduzioni degli importi di pensione per coloro che scelgono il pensionamento anticipato prima del compimento dei 62 anni di età.
Infine, le ultime disposizioni previste nella legge 11 dicembre 2016, n. 232 ( Legge di bilancio 2017). Viene introdotto l’anticipo pensionistico Ape, volontario e aziendale, che consente di ritirarsi a 63 anni. Per l’Ape volontario si tratta di un prestito, corrisposto in 12 mensilità l’anno la cui restituzione avverrà in 20 anni, con rate mensili sulla pensione di vecchiaia. Viene , anche, ampliata la possibilità di cumulo gratuito per i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, comprese le casse professionali, per raggiungere sia la pensione di vecchiaia sia la pensione anticipata.
Riteniamo che il percorso tanto accidentato degli interventi previdenziali non si fermerà qui e dovremo registrare ulteriori modifiche, integrazioni, cambiamenti, che renderanno sempre meno sicuro e certo il futuro degli attuali lavoratori ma anche degli stessi già pensionati.
di Claudio Testuzza – Il Sole 24 Ore sanità – 4 aprile 2018