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Pesce fresco, si fa per dire. Import congelato da container

Le cernie dal Senegal. I polpi dall’India. I calamari dal Sudamerica. Di ‘nostrano’ sono rimaste le spigole, gli sgombri e poco altro. Piccola guida sulla provenienza vera del fritto misto

Arrivato stamattina, freschissimo. Già, ma da dove? Perché il pesce che compriamo nei mercati italiani, perlopiù, è fresco sì, ma di container frigo. Non solo: spesso capita che ci vendano un pesce per l’altro, quei filetti venduti come cernia, ad esempio, possono essere di pangasio pescato nel delta del Mekong, in Vietnam, e prima di finire in pescheria si sono fatti tre mesi di nave, anche se debitamente congelati.

La realtà è che solo un terzo del pesce consumato in Italia proviene dal mercato interno. Il resto, il 64 per cento per essere precisi, è puro import: gamberi, calamari, tonno e merluzzo provenienti da 40 Paesi diversi. E questo, malgrado l’Italia abbia ottomila chilometri di coste e la prima flotta di pescherecci del Mediterraneo.

Insomma, a parte vongole, telline e poco altro, di prodotto italiano in vendita ce n’è poco. Molto arriva dalle altre coste del Mediterraneo, è vero. Ma la parte del leone la fa il prodotto congelato o lavorato che arriva dai quattro angoli del mondo: Sudest asiatico e Sudamerica, Africa e Oceania. E’ il mercato globale, che produce un export spesso travestito da “made in Italy” perché, a differenza del settore delle carni, qui non esiste la tracciabilità del prodotto, per cui ciascuno ti vende ciò che vuole. E la provenienza, quando è indicata, può non significare nulla: “Basti dire”, spiega Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish, “che tutto il Mediterraneo, dallo stretto dei Dardanelli a quello di Gibilterra, è certificato come Zona Fao 37”.

Di fatto, quindi il consumatore non ha armi per difendersi: “Visto che tre piatti di pesce su quattro sono frutto dell’import”, chiarisce il responsabile di Coldiretti ImpresaPesca, Tonino Giardini: “Sarebbe bene conoscerne la provenienza effettiva”. La filiera è lunga, la grande distribuzione detta le regole. E il fatto che i pesci sembrano ai profani un po’ tutti uguali consente camuffamenti a tutto spiano da parte di pescherie e grossisti spregiudicati: halibut spacciati per sogliole, verdesche vendute come pesci spada e via di seguito

L’Espresso – 30 agosto 2011

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