di Vera Slepoj. Anche noi abbiamo la nostra “Terra dei fuochi” e le Pfas, sostanze perfluoroalchiliche che sembrano avere un nome evocativo della leggerezza, in realtà sono un elemento inquinante, pericolosissimo per la nostra salute, presente in 59 comuni del Veneto: troppi e troppe conseguenze sulla nostra salute.
L’acqua limpida e trasparente la immaginiamo pura, sana, il luogo mentale del benessere che rinfresca, disseta, lava, nutre, è la parte più importante della nostra vita. Siamo fatti di acqua, siamo parte dell’acqua, senza di lei la vita si spegne, il mondo diventa deserto, le piante non crescono. Senza l’acqua il mondo muore. In una fase culturale in continua evoluzione, che sta portando i cittadini a dare valore alla qualità della vita, alla naturalità dei prodotti, a stringere con la natura un rapporto di solidarietà, la catastrofe ambientale ci costringe a chiedere di più a noi stessi, a pensare a come viviamo, cosa e come consumiamo, perché siamo così disattenti ai nostri stili di vita che producono consumi senza regole, che porteranno il nostro ecosistema a implodere.
Sicuramente il meccanismo di controllo psicologico in atto nelle masse sarà quello di dimenticare, banalizzare, annullare la memoria su tutto ciò che mangiamo, compriamo, beviamo, annullando l’angoscia del pericolo. Ma così facendo annulliamo anche la necessità e l’urgenza di ripensare sia alla salute del territorio che alle nostre tutele. Sono i prodotti che usiamo ogni giorno: shampoo, detersivi, plastica, le bevande cariche di coloranti, cibi e merendine di cui non leggiamo gli ingredienti. Oppure sono i prodotti che arrivano dal resto del mondo: frutta e verdura, carne e pesce che non hanno precise regole di tutela e provenienza.
La cultura del km zero è entrata a far parte anche del linguaggio popolare. Ne ha fatta di strada, ma si trova oggi dentro il mostruoso paradigma di avere a che fare con la terra inquinata, su cui si coltivano pomodori, insalate, patate, fragole, un via vai di frutta e verdura che provengono da terreni che seppur rigogliosi, nascondono sostanze che ci fanno rabbrividire. È il conto salato che la natura farà pagare alla nostra superficialità, quella che proviene dalla voracità economica che in questi anni la spregiudicatezza industriale sta facendo morire, da Marghera a Trissino. Tutti oggi vorremmo avere un terrazzo con i fiori, un giardino dove fare crescere le piante, le insalate o i pomodori, ma l’acqua che usiamo ogni giorno, come possiamo guardarla ancora con il coraggio della libertà di sapere che è ancora l’acqua di sempre, quella che ha fatto della terra un mondo vivibile per gli umani, piante e animali. Il corpo ce la farà, perché organizzerà nuovi anticorpi, questo è il pensiero ottimista. Ma quanto reggerà la terra se i suoi mari e le sue foreste non riusciranno a reggere i nostri disastri? Sarà tardi per capire cosa abbiamo fatto, desertificando i territori e creando deforestazione irrazionale. Ci dobbiamo chiedere con coraggio, cosa ne sarà di tutto il cemento che abbiamo buttato in giro per il mondo, cosa resterà dei fiumi deviati dall’India all’Amazzonia, cosa resterà delle dighe e dei ponti che invece di salvarci, rischiano di essere la nostra condanna. È un problema colossale, profondo e ancora sottovalutato e delegittimato dai governi e dalle istituzioni che devono trovare anche soluzioni per il sovrappopolamento mondiale. Sarà breve il tempo che ci costringerà a comprendere ciò che abbiamo distrutto, ma possiamo iniziare a fare qualcosa nella nostra vita quotidiana, quella semplice, dove possiamo avere comportamenti più attenti verso la natura, piante e animali, iniziando proprio dalle nostre abitudini. Aiutiamo i bambini a guardare l’acqua con amore, a desiderare che scorra sana nelle nostre mani.
La Nuova Venezia – 15 maggio 2016