Diventeranno un modello a livello nazionale le verifiche su quanto l’inquinamento da «Pfas» delle acque superficiali interessi piante destinate all’alimentazione o ammali dissetati attraverso reti idriche contaminate da sostanze chimiche. Secondo il Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Istituto superiore di sanità, al quale la Regione si era rivolta per avere lumi, «ad oggi, non è possibile fornire l’indicazione di livelli massimi, ancorché provvisori o indicativi».
Le verifiche sugli effetti dell’inquinamento da Pfas nei prodotti commestibili che vengono dalla trentina di Comuni veronesi, vicentini e padovani, costituiranno, insomma, un test da esportare.
Così come da quasi due anni si attende che si stabiliscano le quantità minime di sostanze che posso no essere tollerabili nelle acque d’acquedotto o di fiume, anche per ciò che riguarda gli alimenti, in Veneto si va avanti senza indicatori precisi. Le indagini, svolte dai servizi veterinari e di igiene degli alimenti delle UIss veronesi 20 e 21, delle vicentine 5 e 6 e della padovana 17, sono destinate giocoforza a fare da apripista.
Sui Pfas, altre noie legali. Dopo un primo esposto alla magistratura, presentato dal sindaco di Pressana Stefano Marzotto, un secondo di Legambiente ed un terzo del candidato presidente del Veneto Cinque stelle Jacopo Berti, ora il Consiglio di bacino dei Comuni vicentini, l’area dalla quale è partito l’inquinamento, ha chiesto risarcimento dei danni ambientali provocati dallo scarico di reflui con Pfas. La richiesta sarà girata al ministero per l’Ambiente e alla ditta di Irissino, la Miteni, dalla quale, secondo Arpav, venivano i reflui. Secondo gli amministratori vicentini per affrontare l’emergenza serve «una legge speciale», sul modello di quella per l’Uva. A Roma sono stati inoltre chiesti fondi per disinquinare
L’Arena – 14 maggio 2015