La Regione mette sotto controllo centinaia di abitanti residenti nella Bassa Veronese, Vicentina e Padovana per scoprire se, e come, i Pfas (sostanze chimiche che vengono utilizzate per impermeabilizzare carta e tessuti) abbiano ripercussione sulla salute. L’indagine conferma che, a causa della presenza delle sostanze perfluoro-alchiliche nelle acque distribuite dagli acquedotti di trenta Comuni, alcune parti del Veneto sono considerate una specie di zona di ricerca per la Sanità. La Regione, quindi, su indicazione dell’Istituto superiore della sanità, ha approvato il biomonitoraggio su un campione di persone esposte alla contaminazione. “Si tratterà di eseguire un esame del sangue – spiega al Giornale di Vicenza l’assessore regionale alla sanità Luca Coletto -. Stiamo pianificando il progetto che, come minimo durerà un anno. Il biomonitoraggio verrà effettuato dal Servizio epidemiologico regionale con l’Iss”.
Altro capitolo è la contaminazione ambientale: i corsi superficiali e di falda. La zona interessata è estesa: un’area di 150 chilometri quadrati. Un’estensione tale che promuove il caso veneto a laboratorio europeo. Si effettuerà anche “un campionamento degli alimenti di produzione locale, estendendo l’ambito delle azioni anche alle situazioni di utilizzo delle acque ad uso irriguo e zootecnico nelle aree interessate al fenomeno” precisa Coletto.
Nei giorni scorsi proprio su questi aspetti era intervenuto il consigliere regionale della Federazione della sinistra Pietrangelo Pettenò. Pettenò ha evidenziato l’esigenza di “attuare azioni di prevenzione integrata volte a ridurre la contaminazione nell’acqua ad uso irriguo e zootecnico, a regolamentare l’uso di ammendanti agricoli provenienti dal ciclo di potabilizzazione e depurazione delle acque e, se del caso, a limitare in modo selettivo il consumo degli alimenti prodotti in loco”. In un’interrogazione alla Giunta, presentata lo scorso 6 marzo, il consigliere ha chiesto anche di sapere se “è stato ordinato agli uffici delle Asl competenti un campionamento degli alimenti prodotti nelle zone dove maggiore è l’inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche”.
L’indagine sanitaria ha carattere «cautelativo», dice per parte sua l’assessorato regionale. Lo stesso Coletto, così come tutte le realtà istituzionali coinvolte nel caso-Pfas, sin dall’inizio ha infatti spiegato che «l’acqua che viene erogata dagli acquedotti è potabile». Cosa incontrovertibile, considerato che in Italia mancano limiti di legge sulle quantità di perfluoro-alchiliche, anche se l’acqua erogata dagli acquedotti rispetta i parametri previsti dall’Istituto superiore della Sanità. «Secondo l’Istituto, il numero ottimale di persone da sottoporre allo screening è 500 ma su questo, così come sul tipo di esami da realizzare, saranno i medici e gli esperti del gruppo tecnico regionale a fare le opportune valutazioni», continuano all’assessorato.
Se questa è la situazione per quando riguarda l’acqua potabile, ben più indecifrabile, fa notare l’Arena, è quella riguardante le falde e le acque superficiali le quali, stando a quanto ha recentemente riferito l’Arpa di Vicenza, da quarant’anni subiscono gli effetti degli sversamenti di un’industria chimica del Basso vicentino. Da questo punto di vista è in atto una campagna di monitoraggio che potrebbe riservare più di qualche sorpresa.
Il Ministero della Salute, nella nota del 29 gennaio scorso, recependo il parere dell’Istituto Superiore di Sanità, ha ribadito per le acque della provincia di Vicenza e comuni limitrofi in cui sono stati riscontrati valori fuori norma di Pfas, “la raccomandazione di assicurare adeguate misure di prevenzione della contaminazione delle acque di origine e, a livello impiantistico, l’implementazione di tecniche di adsorbimento e/o filtrazione attraverso membrane di provata efficienza per la rimozione di Pfas nella filiera di produzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano”
Sullo sfondo della vicenda dei Pfas nelle acque potabili si è verificato nelle ultime settimane un piccolo cortocircuito di competenze a livello regionale (che forse non dovrebbe più stupire!). Il 25 febbraio il direttore della Sezione Prevenzione e sanità pubblica, Giovanna Frison, scrive (pagina 1– pagina 2) alle Asl e all’Arpav per sollecitare l’invio di informazioni e documenti. Alla dottoressa Frison era peraltro indirizzata la nota ministeriale del 29 gennaio. Ma a poche ore di distanza, il 26 febbraio, il Direttore generale dell’Area sanità e sociale della Regione, Domenico Mantoan, scrive a una vasta platea di soggetti, tra cui Asl e Arpav, richiamando la delibera 168 del 20 febbraio, e annunciando che il coordinamento delle azioni di prevenzione relative alle sostanze Pfas è affidato al Settore Promozione e sviluppo igiene e sanità pubblica, responsabile Francesca Russo…
A cura Sivemp Veneto – 17 marzo 2014