Emergenza Pfas: questa è la settimana decisiva per quanto riguarda gli interventi che effettuerà la Regione per affrontare il problema. Per giovedì mattina, infatti, è stato convocato il tavolo tecnico che si occupa dell’inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche del territorio posto a cavallo fra le provincie di Verona, Vicenza e Padova.
Una situazione che riguarda 250mila cittadini, di cui 72mila residenti nei tredici Comuni della Bassa che vanno dal Colognese al Legnaghese. «In questi giorni stiamo portando avanti un lavoro di verifica e i risultati dei controlli verranno presentati giovedì, allo scopo di fare il punto della situazione sia dal punto di vista ambientale, nel senso più largo del termine, che da quello sanitario», spiega la dirigente del Servizio sanità pubblica regionale, Francesca Russo. «In quella riunione», aggiunge la dirigente, «verrà anche deciso nei dettagli il piano di monitoraggio sulla salute dei cittadini esposti alla contaminazione, che sarà realizzato seguendo le modalità che vengono utilizzate per gli screening onclogici».
Intanto il presidente della Provincia di Verona Antonio Pastorello nelle scorse ore ha reso noto di aver ricevuto dal Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 20 la risposta alla sua richiesta formale di chiarimenti in merito alla potabilità dell’acqua che bevono i cittadini dell’area inquinata. Area al cui interno ci sono sette Comuni che ricadono sotto l’Ulss 20: Albaredo, Arcole, Cologna, Pressana, Roveredo, Veronella e Zimella. In tale documento l’Ulss conferma che l’acqua distribuita dalle reti pubbliche è potabile, perché rispetta i valori di performance indicati da Ministero e Istituto superiore di sanità, ma sottolinea anche che i timori maggiori sono legati all’acqua pescata con pozzi privati, i cui controlli sono a carico dei proprietari. Tutto questo ribadendo la necessità di adottare misure volte ad eliminare definitivamente il problema.
Allarme pfas. Lente su acque minerali e termali. Allo studio il bando della chimica
La contaminazione provocata dai Pfas nell’ovest vicentino investe un’area risorgiva estesa su 35 kmq ma se la superficie dell’inquinamento è stata ragionevolmente definita, permangono invece le incognite sul livello di profondità raggiunto dalle sostanze perfluoroalchemiche scaricate nelle falde dall’industria chimica. Per questo, il Servizio tutela acque della Regione ha ampliato il raggio dei controlli: «Secondo un principio di precauzione, stiamo eseguendo test anche sulle acque minerali e termali provenienti dalla zona sospetta e destinate al circuito commerciale», fa sapere il dirigente Corrado Soccorso «tuttavia, sia le concessioni destinate all’acqua in bottiglia che quelle riguardanti gli stabilimenti termani, attingono a profondità varianti tra gli 800 e i mille metri a fronte di un inquinamento superficiale inferiore ai 100. La circostanza è stata confermata dall’esito delle prime analisi, tutte negative. In ogni caso, proseguiremo il monitoraggio, anzi lo estenderemo alle zone costiere e alla laguna veneta».
In effetti, secondo gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, l’emergenza ambientale che affligge la valle del Chiampo e quella dell’Agno presenta due ordini di priorità: la salvaguardia della salute delle persone esposte per decenni al consumo di acqua inquinata: sottoposte a campione ai test del sangue, presentano valori abnormi di sostanza chimica nel siero; e la prevenzione di ulteriori contaminazioni, affidata fin qui ai sistemi di filtraggio negli acquedotti e al divieto di attingere ai pozzi privati.
Ora è in fase di allestimento una procedura pluriennale di biomonitoraggio (analisi con marker epatici, tiroidei e tumorali con successiva osservazione clinica) che coinvolgerà 250 mila persone distribuite su 23 comuni, richiedendo risorse stimate tra il mezzo miliardo e i 700 milioni.
Chi sborserà questa mole di quattrini? Logica ed equità vorrebbero che a saldare il conto fosse l’autore del danno. Ma scovare il colpevole non si annuncia agevole: Miteni spa, la multinazionale di Trissino accusata da più parti e oggetto di due esposti alla magistratura firmati dall’Arpav e dal M5S, respinge ogni addebito e segnala la presenza nella zona di molte aziende conciarie che a loro volta utilizzano composti contenenti i Pfas. Sul fronte giudiziario non si segnalano particolari progressi; anzi, il procuratore della Repubblica di Vicenza, Antonino Cappelleri, convocato in audizione dalla Commissione parlamentare ecomafie, ha ribadito la difficoltà di formulare un capo d’imputazione per l’assenza di una legge che fissi i limiti massimi consentiti delle fatidiche sostanze. Morale della favola? A giorni si insedierà il comitato regionale tecnico-scientifico incaricato dal governatore Luca Zaia di coordinare gli interventi su più versanti; in agenda, alla luce dei contatti intercorsi tra sanità del Veneto e ministeri della Salute e dell’Ambiente, c’è l’ipotesi di un provvedimento d’urgenza che vieti la produzione (non l’utilizzo) di materiali chimici nell’intera superficie risorgiva.
L’Arena e Il Mattino di Padova – 21-22 maggio 2016