Piano sanitario, stop da Roma. Verso l’impugnazione del governo. «Troppi poteri tolti alla giunta»
L’aveva annunciato. Si prepara a farlo. Il ministro della Salute Renato Balduzzi aveva messo tutti sul chi vive, prima con un parere scritto dai suoi tecnici, e spedito come monito all’assessore alla Sanità Luca Coletto durante la discussione in consiglio regionale, e poi con parole sibilline, a margine di una visita a Palazzo Balbi, quando ormai il voto dell’assemblea aveva approvato in via definitiva il nuovo Piano socio sanitario. I consiglieri non l’hanno ascoltato ed anzi qualcuno, come il presidente della commissione Sanità Leonardo Padrin, l’aveva pure rimbrottato parlando di «un’indebita invasione di campo» e il risultato è che il governo si prepara ora a trascinare la Regione davanti alla Corte costituzionale, impugnando il Piano come promesso.
La decisione sarà presa nel corso del consiglio dei ministri di venerdì, quando verranno esaminate le contro deduzioni che entro giovedì sera saranno spedite a Roma dai tecnici dell’Ufficio legislativo del consiglio regionale, preavvertiti, come da prassi, da una lettera di Palazzo Chigi.
I punti del contendere, in parte annunciati perché già oggetto del celeberrimo «emendamento Coletto», sono quattro. Il primo riguarda l’attribuzione del potere di nomina del futuro direttore generale della Sanità (l’attuale segretario) al consiglio regionale, su proposta del presidente della Regione; il secondo il parere vincolante attribuito alla commissione Sanità sulle future schede ospedaliere e territoriali. Su entrambi questi aspetti, di capitale importanza perché tra i pilastri della politica sanitaria veneta dei prossimi anni, il ministero della Salute aveva già espresso delle perplessità, sostenendo nel parere fornito a Coletto che «le funzioni conferite sembrano qualificare il direttore generale alla Sanità e al Sociale come un organo amministrativo tipicamente esecutivo, che pertanto dovrebbe rientrare tra gli organi della giunta regionale. Non può essere nominato dal consiglio regionale ma dalla giunta, cui di conseguenza dovrebbe rispondere». E ancora, il parere avvertiva: «La legge che interviene in materia di organizzazione (ossia il Piano, ndr.) dovrebbe rispettare sia la Costituzione che lo Statuto e quindi il richiamato riparto di funzioni e competenze tra giunta e consiglio», invece «l’alterazione del suddetto riparto» si riscontra anche in merito al parere obbligatorio e vincolante della V commissione sulle schede, perchè «tale disposizione appare lesiva delle prerogative della giunta. L’approvazione delle schede costituisce un atto esecutivo, quindi dovrebbe spettare alla giunta».
Il terzo ed il quarto punto, ritenuti invece «di gravità secondaria » dai tecnici della Regione, sono quelli relativi alla durata del Piano, che avendo durata quinquennale, «si pone in contrasto con i principi della normativa statale», secondo la quale «le regioni provvedono all’attuazione del Servizio sanitario nazionale in base ai piani sanitari triennali, coincidenti con il triennio del piano sanitario nazionale», per cui secondo il parere «il disallineamento tra la durata del piano nazionale e quella del piano regionale potrebbe incidere sulla coerenza complessiva della programmazione », ed infine l’obbligo per le Usl di rendere noti online i loro bilanci, pena un taglio compreso tra il 10% e il 20% dei trasferimenti: «Si evidenziano profili problematici — scrivevano i tecnici —. La sanzione potrebbe avere conseguenze sull’erogazione dei servizi e quindi incidere sulla materia della tutela della salute», oltre che risultare sproporzionata «rispetto alla violazione commessa». All’epoca dell’approvazione del Piano, allineandosi alla posizione espressa da Padrin ed in contrasto con quella di Coletto e del governatore Luca Zaia, il consiglio ritenne di affidarsi al parere (mai esibito in aula) reso dai tecnici della commissione, che non avevano rilevato alcuna criticità giuridica. «Se sarà necessario – disse Padrin – andremo alla Corte costituzionale e lì faremo valere le nostre ragioni». Ebbene, quel momento si avvicina. Visto il braccio di ferro instaurato lungo l’asse Roma-Venezia, con il Veneto a far spallucce di fronte agli avvertimenti di Balduzzi e dei suoi tecnici, sembra infatti difficile che le contro deduzioni che l’Ufficio legislativo invierà oggi al dipartimento Affari regionali della Presidenza del Consiglio possano convincere il consesso dei tecnici a prendere una decisione che finirebbe per sconfessare il ministro alla Salute.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 9 agosto 2012
Sanità Monti impugna il piano veneto
Dubbi di costituzionalità sulle norme che riguardano nomine dei dirigenti, schede ospedaliere e trasparenza nei compensi
Tra Palazzo Chigi e l’amministrazione del Veneto i rapporti non sono certo idilliaci; la cronaca recente, anzi, è scandita da strappi, polemiche e ricorsi giudiziari sull’asse Roma-Venezia. Domani, però, il Governo Monti compirà un gesto significativo in difesa del diritto decisionale della giunta presieduta da Luca Zaia e lo farà impugnando davanti alla Corte Costituzionale il nuovo Piano socio-sanitario regionale nelle sue parti più controverse. In discussione, le norme che sanciscono il «parere obbligatorio e vincolante del Consiglio» sulle nomine dei dirigenti (dal segretario generale al direttore dei servizi sociali territoriali) e sulle “schede di dotazione ospedaliera” che riorganizzano reparti e servizi in ogni azienda sanitaria; nonché le regole sulla trasparenza dei pagamenti che impongono ai percettori privati di rendere pubblici i loro compensi. Il 16 giugno scorso i consiglieri di Palazzo Ferro-Fini hanno approvato a maggioranza queste norme bocciando gli emendamenti contrari presentati dall’assessore Luca Coletto che (sostenuto nell’occasione da Zaia) lamentava la limitazione indebita delle facoltà dell’esecutivo, leso nei suoi poteri da un’assemblea legislativa esorbitante dal mandato. La sua tesi è stata respinta dall’aula ma il Consiglio dei ministri la condivide: contattati i rappresentanti dell’avvocatura della giunta e dell’assemblea e visionate le loro motivazioni giuridiche – che si profilano di segno opposto – nella seduta di domani avvierà il ricorso. Attenzione: non è questione di cavilli ma di potere, risorse e consenso. La partita del welfare vale 8 miliardi l’anno, pari al 65% del bilancio regionale. Tramontata la stagione galaniana, a fare la parte del leone si candida il segretario-sindaco lighista Flavio Tosi, del quale Coletto (unico assessore esterno) è seguace fedele. Zaia, però, non ha alcuna intenzione di abdicare alle sue prerogative: «Non voglio più ricevere segnalazioni per le nomine dei primari e dei direttori generali», è sbottato all’ultimo vertice di maggioranza Lega-Pdl «i primi devono superare un concorso, gli altri li sceglierò io, senza interferenze». Unico contraltare sul fronte pidiellino è Leonardo Padrin, l’energico presidente della commissione sanità, indicato dallo stesso governatore come il vero artefice del Piano, che si è battuto per assicurare voce in capitolo al Consiglio in materia di programmazione. Sul piano politico, una sorta di “antidoto” rispetto allo strapotere leghista in giunta perché in aula le convergenze del suo partito con il Pd e le altre forze d’opposizione non sono infrequenti, come testimonia l’esito del voto sulla mozione Coletto: appoggiata soltanto da Lega e Verso Nord, è stata affossata dal fuoco congiunto di tutti gli altri gruppi. Ora l’intervento del Governo rimette in discussione l’intera manovra: se i punti contestati – e in particolare il capitolo “schede” – saranno dichiarati incostituzionali, il Piano risulterà azzoppato e pressoché inapplicabile. E l’obiettivo (definito prioritario) di riformare il welfare veneto per garantirne tenuta finanziaria e qualità delle prestazioni, potrebbe rivelarsi un miraggio.
Il Mattino di Padova – 9 agosto 2012