I genitori di venti città scrivono alla ministra della Salute, Beatrice Lorenzin: «Ecco il decalogo per una buona mensa scolastica: biologico e niente insaccati. Controlli incrociati tra commissioni mense, Nas e Asl. Tariffe uniformi in tutta Italia e cucine interne in ogni scuola». Sono migliaia i membri della Rete nazionale commissioni mensa: hanno deciso di rivolgersi direttamente alla ministra, avendo finalmente trovato un’alleata dopo la presentazione, al ministero della Salute, del Report sui controlli nelle mense compiuti dai Nas. Che hanno messo in luce come una struttura su 4 sia irregolare.
«Cara ministra, grazie: finalmente presta ascolto a tante nostre denunce, i Comuni erano sordi », scrivono i genitori. E propongono l’adozione, nelle linee guida del ministero della Salute sulle mense, di un decalogo costruito sulle esperienze di anni di controlli e sopralluoghi.
Sono oltre 2,5 milioni i bambini e ragazzi, sotto i 14 anni, che consumano pasti in mensa e ciascuno, alla fine della carriera scolastica obbligatoria, ne accumula circa duemila. Le commissioni mensa, nate su base volontaria, sono formate da genitori di tutta Italia che hanno cominciato a chiedersi cosa effettivamente mangiassero i figli. Da neppure quattro mesi, quelle più organizzate ed attive, da Genova a Milano, da Bologna a Napoli, da Venezia a Pescara, dopo anni di “scioperi del panino”, denunce e sit- in nelle rispettive città, hanno deciso, grazie al web, di unirsi, confrontando le proprie indagini e pubblicando, a maggio, il primo “Rating nazionale delle mense”, con la classifica delle più virtuose (Jesi in testa) in termini di alimenti bio, filiera corta, riduzione della carne rossa.
I genitori propongono alla ministra di istituire una commissione mensa in ogni scuola: «Finora non è obbligatorio e ci sono città in cui non ne esistono», spiega Giulio Mannino, portavoce dell’Osservatorio di Bologna, tra i fondatori della rete nazionale. La prima richiesta è quella di ufficializzare il potere di controllo dei commissari: «Alcune ditte ci proibiscono di scattare foto a etichette o alimenti che riteniamo non conformi. Così, alla fine del sopralluogo, non abbiamo prove da mostrare al Comune o ai Nas», dice Mannino.
Chiedono alla Lorenzin di fissare criteri minimi nazionali per il servizio mensa che prevedano biologico, filiera corta, e soprattutto l’eliminazione degli insaccati, recependo le indicazioni dell’Oms. Un altro punto chiave è il ritorno alle cucine interne, a scapito dei centri cottura: «Abbiamo analizzato i dati e le cucine interne comportano un risparmio economico, aumentando la qualità del cibo», argomentano i genitori.
A proposito di tariffe, infine, i commissari invocano l’uniformità: «Da un Comune all’altro, il costo di un singolo pasto può variare anche di 7 euro — spiega Mannino — Noi sappiamo che le materie prime ne costano circa 1,5, poi va calcolata la preparazione. Il resto è ricarico sulle famiglie o, peggio, va a scapito della salute dei bambini».
Cibi vegani? Con l’ok del medico
La dieta vegana va ammessa in mensa a scuola. A stabilirlo è un decreto del Tribunale di Monza, che si è pronunciato sulla contesa dei genitori separati di un bambino di 8 anni. La decisione dei giudici accoglie il ricorso della madre vegana contro l’obbligo, stabilito in precedenza dal Tribunale per i minorenni di Milano, di servire al bambino pasti “regolari onnivori”, come chiesto invece dal padre, non più in accordo con le scelte alimentari materne. Il decreto emesso a Monza, però, pur favorevole alla mamma, dispone che il bambino debba sottoporsi per un anno a visite in ospedale. E che la dieta debba essere adeguata alle eventuali indicazioni del medico. L’avvocato Carlo Prisco, che da tempo si occupa di casi legati alle scelte vegetariane, spiega: «La contesa nasce nel 2012 dal disaccordo dei genitori sul regime vegano, seguito dal bambino sin dallo svezzamento». Sulla decisione dei giudici potrebbe aver pesato una perizia medica, che indicava come il bambino fosse intollerante al lattosio, zucchero escluso dalla dieta vegana. «Assumendo lattosio, il piccolo accusava malori», dice l’avvocato.
Repubblica – 8 luglio 2016