Il reportage. Allarme in Piemonte, fattorie in rovina. I contadini accusano le metropoli “Deportati dalle città, ci rovinano”. Si moltiplicano in inverno quando nei campi non c’è più cibo: spaesati, muoiono di fame
FOSSE un film, si chiamerebbe Assalto alla campagna: il giallo dei piccioni”. Nella tenuta Pederbona questi pennuti sono migliaia. Riempiono i tetti e le mangiatoie, scelgono con cura i grani più preziosi, quelli di soia e di mais. NON sono gli uccelli di Hitchcock (quelli erano gabbiani, passeri e corvi) ma fanno comunque paura. Sergio Ardiani, il dirigente dell’azienda che ha 500 vacche in mungitura e altri 700 capi nelle stalle aperte, con un tubo Innocenti picchia su un altro tubo e il rumore è più forte di uno sparo. Cinquemila piccioni si alzano in volo, fanno un breve giro e tornano subito a becchettare nelle mangiatoie o a riposarsi sul tetti. «Ormai comandano loro — dice Ardiani — e noi non sappiamo più dove sbattere la testa». Altre decine di migliaia di piccioni coprono i tetti delle cascine e cercano di infilarsi in silos e stalle nella strada che da Alessandria porta a Ovada. «Noi siamo convinti — racconta Claudio Monferino, che guida la grande cascina Vittoria a Retorto di Predosa — che dietro questa invasione ci sia qualcosa di strano. Da tre o quattro anni i piccioni arrivano in campagna dopo la metà di ottobre, quando nei campi non trovano più nulla da mangiare. Perché arrivano qui a patire la fame? Noi pensiamo che qualche ditta che li cat- Ricoprono i tetti, entrano negli allevamenti: a rischio la salute di uomini e animali tura nelle città, invece eliminarli, li liberi nei nostri cieli. Non è un caso che la concentrazione più alta sia attorno all’autostrada Gravellona – Volti». C’è chi racconta di camion che si fermano in autostrada o sulla provinciale ed aprono le gabbie. Altri parlano di Tir arrivati dalla Francia. Ma non ci sono testimonianze precise e le notizie si confondono con le leggende metropolitane. «Noi sappiamo soltanto – dice Claudio Monferino- che questi non sono i piccioni stanziali che dormono nelle nostre città e vengono a mangiare in campagna. Quando scatta l’ora X dell’invasione, vediamo centinaia di piccioni “spaesati”, che non sanno trovare i ripari giusti per la notte e muoiono per il gelo, per la fame e anche per la sete, perché non sanno nemmeno andare a bere al fiume. Se a ottobre sono cento, a gennaio diventano mille. Non è possibile una proliferazione così alta in inverno. Vuol dire che questi animali arrivano o sono portati qui da lontano. Noi allevatori non possiamo continuare a subire danni. Come Coldiretti, Unione agricoltori e Cia abbiamo protestato e fatto anche proposte, ma le risposte serie ancora non sono arrivate. Ogni tanto la Provincia manda qualche agente venatorio che viene a sparare qualche cartuccia in una cascina, ma un minuto dopo i tetti tornano ad essere pieni di piccioni e di guano, che mettono a rischio la salute degli animali e degli uomini. Noi siamo obbligati a garantire l’igiene dei nostri prodotti, ma nessuno ci aiuta a combattere questo flagello». «Il mio self service – dice Fabio Castelli, direttore della coop Settevie a Castellazzo – apre alle 12,30 e va avanti per un’ora precisa. Mille piccioni vengono a banchettare con il grano e il mais che abbiamo nei silos. Gli impianti sono chiusi, ma camion e trattori seminano sempre qualcosa». «Noi siamo riusciti- racconta sempre Ardiani della Pederbona — a fare una stima dei danni. Un piccione mangia 70 grammi di mangime al giorno. Calcolando anche soltanto 50 grammi, 5.000 piccioni mi rubano 250 chili di mais o soia al giorno, 75 quintali al mese. Il danno equivale allo stipendio di due operai della stalla». Vittorio Guberti è un ricercatore dell’Ispra — Istituto superiore perla protezione e la ricerca ambientale — di Ozzano Emilia. «Ormai, sui piccioni, si interviene solo per le emergenze, e non c’è coordinamento fra i Comuni che intervengono nei centri urbani e le Province che hanno competenze nei territori rurali. Servirebbero scelte almeno a livello regionale. Gli strumenti sono due: o prendi i piccioni e li abbatti, oppure ne riduci la fertilità. Ma dopo avere speso molti soldi pubblici, si è accertato- secondo un modello matematico preparato dall’Ispra — che solo tenendo sotto controllo “anticoncezionale” l’80 per cento delle femmine si riesce a contenere, non a diminuire, il numero delle nascite. E controllare l’80 per cento delle femmine è praticamente impossibile. Meglio chiudere ogni luogo di nidificazione impedire l’alimentazione nella città». C’è anche chi, come l’assessore all’agricoltura della Provincia di Mantova, Maurizio Castelli, ha deciso di «non stare a guardare». «Il problema è serio e va affrontato davvero, per tutelare non solo gli agricoltori ma tutti i cittadini». «Dal 2004 — spiega Roberto Malagoni, coordinatore della vigilanza faunistico-venatoria — abbattiamo 30.000 piccioni all’anno, con le nostre guardie e 50 volontari. Non c’è altro sistema, per cercare di contenere i 150.000 piccioni che abbiamo nel mantovano». Fucili calibro 12, pallini del 7, girandole che simulano il volo dei piccioni che si buttano sul cibo… «Bisogna conoscere gli orari di arrivo nelle aziende di campagna. I piccoli gruppi riesci ad eliminarli tutti, gli stormi no. E ci vuole una presenza costante». Gli uccelli presi nelle gabbie in città subiscono la «dislocazione della terza vertebra cervicale». In parole povere, tirano loro il collo. «L’invasione è cominciata da quando, giustamente, tutte le stalle sono state aperte e da quando ci sono i carri Unifeed, che miscelano fieno, farine, mais e soia. I piccioni così possono scegliere, come al ristorante». La spending review colpisce anche la guerra ai pennuti invasori. «Facciamo fatica a trovare i soldi per le cartucce dei nostri agenti. E i volontari, queste cartucce da 50 centesimi l’una, se le pagano da soli».
Repubblica – 11 gennaio 2013