Il mondo del lavoro è destinato a restare difficile per i laureati in Veterinaria, ma non mancano le opportunità per chi punta sulle nicchie di mercato e sviluppa competenze al di là del percorso universitario. Diverso lo scenario per chi studia Agraria: in questo caso i livelli di occupazione sono più elevati, ma premiano solo chi è capace di andare oltre la sola formazione teorica.
«I numeri del mercato indicano che attualmente in Italia ci sono 34mila veterinari, di cui 23mila liberi professionisti, e circa 5mila alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale; la quota restante si divide tra aziende farmaceutiche, università e disoccupati», racconta Marco Melosi, presidente dell’Anmvi (Associazione nazionale medici veterinari italiani). «Tendenzialmente il mercato è saturo, dato che le cliniche veterinarie sono diffuse in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e anche il posto pubblico è difficile da conquistare ». Una situazione che si è venuta a creare anche perché in Italia le facoltà di Veterinaria sono ben 14, contro le tre della vicina Francia. «Un settore che invece è destinato a offrire buone opportunità occupazionali è l’industria della trasformazione degli alimenti di origine animale», aggiunge Melosi. «Un comparto che molti giovani studenti conoscono poco, ma che continua a crescere nel nostro Paese».
Dalla Fnovi (Federazione nazionale ordini veterinari italiani), segnalano un concetto che si va affermando nel mercato, quello dell’one health, cioè la necessità di collaborare con tutte le altre professioni dell’area sanitaria che tutelano la salute pubblica nel senso più ampio, comprendendo l’ambiente e gli animali di ogni specie. Da qui il suggerimento di non pensare a occuparsi solo degli animali da compagnia.
Angelo Troi, segretario nazionale del Sivelp (Sindacato veterinari liberi professionisti), avverte che i redditi dei veterinari sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli di una professione sanitaria: «La media supera di poco i mille euro al mese », aggiunge. Quanto alle competenze più apprezzate dal mercato, Troi ricorda che «la veterinaria, come la medicina umana, richiede buone basi e una certa flessibilità nell’affrontare i nuovi mezzi della medicina».
Da Veterinaria ad Agraria, una facoltà che offre buone opportunità di occupazione, a patto di non limitarsi alla teoria. «Prima che un tecnico, l’agrario deve essere contadino. Un concetto che spesso i laureati faticano a far proprio, ma che è fondamentale per emergere», osserva Fabio Brescacin, presidente di EcorNaturaSì. «La formazione scolastica è indispensabile, ma altrettanto lo è il contatto diretto con la terra. Il rischio, altrimenti, è di non avere una comprensione a tutto tondo delle questioni da trattare, e quindi di mettere a punto soluzioni parziali». Un pensiero condiviso da Lorenzo Benanti, presidente del Consiglio nazionale dei periti agrari. «La pratica in questo campo è fondamentale», afferma. Accanto a questo, sottolinea l’importanza di «approfondire le questioni economiche e gestionali, oltre a quelle estimative, perché il perito non può prescindere da una conoscenza a tutto tondo delle dinamiche aziendali».
«La ricerca effettuata sugli annunci pubblicati dalle aziende sul nostro sito mostra come tra le professioni più ricercate in ambito agrario ci siano il perito agrario, il tecnico agricolo e il giardiniere», racconta Magda Swierczek, search & match director di Jobrapido. «Per emergere è importante avere una conoscenza specifica dell’ambito lavorativo, con capacità di seguire e organizzare le diverse fasi del lavoro, dalla conoscenza all’approvvigionamento dei prodotti, fino al rapporto con i clienti». Sempre più spesso, inoltre, i job profile sono relativi a figure con un’attitudine commerciale, «dalla ricerca di nuovi clienti alla loro fidelizzazione o alla vendita vera e propria di prodotti per l’agricoltura», aggiunge. «Il settore ha comunque bisogno di rimanere al passo con lo sviluppo tecnologico, quindi è fondamentale che i candidati abbiano dimestichezza con gli strumenti informatici, a sostegno di tutte le attività richieste sul lavoro».
Repubblica – 23 maggio 2016