A metà mattina, mentre il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, è riunito in Consiglio dei ministri, a poche centinaia di metri da Palazzo Chigi, in un seminario organizzato dai senatori Pd, prende la parola Massimo Marchetti di Confindustria: «Dobbiamo avere il coraggio di affrontare l’articolo 18. Il contratto a tutele crescenti ci sembra una via collaterale per non affrontare il problema principale».
Argomento dell’incontro è il disegno di legge delega sul lavoro, cioè il secondo atto, dopo il già approvato decreto Poletti incentrato sui contratti a termine, di quello che la narrazione renziana ha ribattezzato Jobs act, su cui sta dibattendo la Commissione lavoro del Senato. «E’ il momento – ripete Marchetti – di affrontare l’articolo 18». Un paio d’ore, vari interventi e qualche critica dopo, è il ministro ad arrivare in sala per chiudere l’incontro. L’articolo 18? «La risposta del governo su questo tema sta nel testo della legge delega. L’abbiamo scritto in quei termini perché reputiamo che ci sia quello che è utile realizzare». Cioè il contratto a tutele crescenti, «questo è lo spazio che abbiamo», delimita il perimetro entro cui il governo intende muoversi.
Ma se Confindustria è contraria al contratto a tutele crescenti, anche i sindacati vedono punti critici, a partire dal metodo, perché «il governo non ha voluto approfondire con le parti sociali l’architettura di questo ambiziosissimo intervento», denuncia Guglielmo Loy della Uil. Ora però il ministro è contento della mattinata di dibattito, «dovremo continuare a farlo anche in vista della predisposizione dei decreti (i decreti legislativi che renderanno operativo il provvedimento, ndr). Un buon esito è il risultato di un buon confronto». Quando si discusse il decreto che porta il suo nome, però, il confronto divenne incandescente dentro al Pd… «Stavolta mi pare che l’accoglienza del testo sia stata buona – valuta Poletti – l’aspettativa è positiva. C’è chi è intervenuto nel merito per dire “si può migliorare qui o là”, ma nessuno ha detto “questa parte è inaccettabile”».
Di certo, «ci aspettiamo che Senato e Camera facciano al meglio il loro lavoro ma a partire dai contenuti essenziali del testo predisposto», e in fretta: «Per noi i tempi sono un imperativo forte: lavoriamo perché il Senato, così come s’è impegnato a fare, concluda i lavori entro la fine di luglio. Se poi qualcosa di analogo fa la Camera – il che non esclude un nuovo passaggio al Senato – comunque entro fine 2014 tutto questo iter dovrebbe essere concluso».
Poi, il governo avrà sei mesi per occuparsi dei decreti. Intanto, resta da coltivare l’iniziativa Garanzia giovani («una novantina di aziende si sono registrate, circa 600 offerte di lavoro», contabilizza, «ho voluto rendere accessibile il monitoraggio. Qualcuno mi ha detto: ma se poi i ragazzi non si registrano facciamo una figuraccia! No, dico io, se è così vuol dire che abbiamo sbagliato») e, soprattutto, da preoccuparsi degli esodati. Una proposta di legge per cercare di risolvere il problema arriverà in Aula alla Camera il 30 giugno, ieri però «Libero» scriveva della possibilità di risolverlo chiedendo fondi all’Europa: «Lo verificheremo, per ora è solo una notizia di stampa, dobbiamo verificare la fondatezza del ragionamento.
E’ evidente che se ci fosse un’opportunità come quella sarebbe grave se non approfondissimo». Entro venerdì dovranno essere presentati gli emendamenti alla legge delega. «Chiediamo alla maggioranza di procedere rapidamente all’approvazione». Anche se poi, «portata a casa la delega», cerca di rassicurare Poletti, «il governo non pensa di chiudersi a due mandate nel suo ufficio». Sarà aperto a contributi e «discussioni specifiche» anche in vista del lavoro sui decreti. Purché si vada avanti spediti: «Chi fa le cose ha ragione – predica il ministro coniando un renzianissimo motto – chi sta fermo ha torto».
La Stampa – 21 giugno 2014