Per ora lampeggia. Ma l’obiettivo italiano – dopo il primo stop deciso a metà aprile dal Parlamento Ue sui profili nutrizionali – è quello di spegnere definitivamente quanto prima i “semafori nutrizionali” varati dalla Gran Bretagna per distinguere i presunti cibi “sani” da quelli non tali. Che però sono stati applicati, di fatto, più come strumento per orientare le scelte dei consumatori verso i prodotti nazionali che come reale “bussola” per la salute dei consumatori.
Di fatto, lo scorso 12 aprile il Parlamento Ue – riunito in Plenaria a Strasburgo – ha approvato, a larga maggioranza, l’articolo 47 del “rapporto Kaufmann”, che chiede alla Commissione di Bruxelles di eliminare il concetto di “profili nutrizionali”. Introdotti con il regolamento 1924/2006 i profili distinguono arbitrariamente i cibi in buoni e cattivi sulla base del contenuto di grassi, grassi saturi, sali e zuccheri, a prescindere da dieta e quantità. Ed è dai profili che sono derivate quelle “etichette a semaforo” («traffic light labels») adottate in Gran Bretagna, che marchiano con un bollino rosso i prodotti considerati “cattivi”. In tal modo, penalizzando molti prodotti Dop e Igp della dieta mediterranea, come il prosciutto crudo, il parmigiano reggiano e l’olio extravergine – ma non le bibite gassate “light”. Il regolamento era stato rimesso in discussione dopo che 2 anni fa era stata aperta dalla Commissione una procedura d’infrazione verso il Regno Unito. Dopo il voto dell’Europarlamento, la procedura d’infrazione potrebbe accelerare o la Gran Bretagna tornare sui suoi passi. Soprattutto il voto di Starsburgo dovrebbe convincere Francia e alcuni Paesi scandinavi che stavano optando per adottare le etichette a semafori, a rinunciare.
«Noi chiediamo – aveva spiegato Paolo de Castro, coordinatore dei socialdemocratici per la commissione agricoltura dell’Europarlamento – un’etichettatura informativa, sulla tracciabilità del prodotto e dei suoi ingredienti. Quello che oggi avviene in Gran Bretagna è invece un giudizio, un condizionamento delle scelte del consumatore». Inoltre, si chiede al commissario alla Salute e Sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, un’indagine analitica sull’impatto economico che l’etichettatura a semaforo” ha avuto sui prodotti mediterranei nel Regno Unito.
C’è però un’altra etichetta che divide il fronte europeo. Ed è quella per rendere obbligatoria la tracciabilità di latte e carne negli alimenti trasformati. A metà febbraio la Francia ha ottenuto il sì della Commissione Ue a varare una sperimentazione sul proprio territorio.
Per la carne, l’origine del prodotto, definito dal decreto, si applica al Paese di nascita, di ingrasso e di macellazione degli animali. Per il latte, si riferisce al Paese di raccolta, confezionamento e trasformazione.
Anche all’Italia sta a cuore. Ma Federalimentare avverte: «L’obbligo non sia solo per l’Italia. Non tutelerebbe il “Made in Italy”. Non sarebbe una competizione ad armi pari in Europa e spingerebbe alla delocalizzazione».
Tuttavia, l’Unione Europea sembra andare in direzione opposta. Ad esempio, nel regolamento Ue 1169/2011 che ha ridisegnato le etichette dei prodotti alimentari non è più obbligatorio indicare lo stabilimento di produzione. La filiera agroalimentare, compatta, si oppone.
Insomma, resta ancora più di un semaforo rosso acceso sulla strada della trasparenza alimentare in Europa.
Il Sole 24 Ore – 6 maggio 2016