Al Polo Nord, nel regno immobile e incantato delle nevi perenni, qualcosa sta cambiando. Gli orsi erano sempre stati i signori dei ghiacci, i mammiferi al vertice della catena alimentare. Avevano sempre mangiato una cosa soltanto: foche, otarie, altri anfibi oppure grandi pesci.
Sono capaci di catturarli con un tipo di caccia in cui fanno base sui grossi lastroni di ghiaccio che puntualmente di distaccano e navigano lenti nel Mar Artico. Saltando da un lastrone di ghiaccio all’altro, gli orsi intercettano le prede, le catturano, spostano il raggio della loro ricerca, si riposano, dormono e poi riprendono la caccia. Ma se il ghiaccio non c’è più? Se il ghiaccio si ritira cosa fanno gli orsi? Semplice: muoiono.
Il dottor Ian Stirling è uno scienziato che ha seguito la vita degli orsi da 40 anni. Ieri ilGuardian ha pubblicato in prima pagina la triste foto della carcassa dell’orso bianco che Stirling aveva seguito e studiato per mesi, ma che in luglio ha ritrovato, morto di fame, lungo un fiordodelle Svalbard.
Ad aprile l’Istituto per le ricerche polari norvegesi aveva marcato quell’animale a 250 chilometri di distanza, più vicino alla zona di mare in cui di solito i ghiacci si distaccano e iniziano a vagare nei mari. «Adesso, dalla posizione in cui lo abbiamo ritrovato e dalle analisi che abbiamo fatto, abbiamo capito che semplicemente l’orso si è accasciato in terra ed è morto di fame », dice Stirling. «Lo scorso inverno molte zone di mare all’interno dei fiordi non si sono ghiacciate, per cui l’orso non è riuscito a fare il suo percorso, a ritrovare le aree tradizionali in cui si spostava per la caccia in primavera ed estate». Si è messo in cammino su una terra desolata, in cui non ha trovato nulla per sopravvivere. Stirling adesso collabora con Polar Bears International e ha lavorato con il Canadian Wildlife Service e con l’Università di Alberta. Ha in mano tutti i dati per confermare coi fatti che ilglobal warming inizia ad avere effetti anche drammatici sulla vita degli animali della Terra.
I 20mila orsi polari che ancora sono sopravvissuti sono in pericolo: la International Union forthe Conservation of Nature (Iucn) valuta che dei 19 insediamenti di orsi polari censiti nell’Artico si hanno dati attendibili solo su 12 “comunità”. Bene, di queste 8 comunità sono in declino, 3 sembrano stabili e una soltanto ha visto incrementare i membri del gruppo.
Le previsioni fatte dall’Iucn diconoche in meno di 50 anni la riduzione dei ghiacci porterà lapopolazione degli orsi a calare fra un terzo e la metà di quelli che sopravvivono ancora oggi. Ma i governi di Russia e Stati Uniti (una volta tanto solidali su qualcosa) sostengono invece che ilcalo potrebbe essere molto più deciso, che potrebbe rimanere in vita solo un terzo degli orsi. Meno di 9.000 esemplari. Gli altri finirebbero come l’orso di Stirling: un sacco bianco rinsecchito. Unmucchio di ossa ricoperte da un pelo che il vento dell’Artico poco alla volta sfarina e disperde nel nulla, assieme al ricordo di quel magnifico animale.
Repubblica – 9 agosto 2013