di Francesco Cerisano. Nella p.a. i contratti precari dovranno essere circoscritti a fattispecie «limitate e tassative» e in ogni caso compatibili «con le esigenze organizzative e funzionali» delle amministrazioni. Il principio, recentemente ribadito nel disegno di legge delega sulla riforma della p.a. (che oggi ha ripreso i lavori nell’aula del senato), potrebbe apparire scontato visto che, secondo la Costituzione, nei ruoli dello stato si dovrebbe entrare solo per concorso e i contratti flessibili dovrebbero essere l’eccezione e non la regola.
Tuttavia, il fatto che una norma del genere venga riproposta ciclicamente ad ogni tentativo di riforma della p.a., testimonia come il concetto sia duro da digerire da parte degli uffici pubblici. Ci aveva già provato l’ex ministro Giampiero D’Alia nella sua riforma del 2013 a dichiarare guerra all’esplosione del precariato pubblico («segno del fallimento delle precedenti politiche di stabilizzazione») inserendo nel dl 101 un principio molto simile a quello che, a due anni di distanza, è stato recepito nel ddl Madia. La norma anti-precari è stata introdotta grazie a un emendamento di Amedeo Bianco (Pd), concordato con il relatore e collega di partito Giorgio Pagliari e approvato in commissione affari costituzionali «E’ un tentativo di mettere ordine sulle infinite forme di contratti precari, dando chiarezza sui tipi di rapporto di lavoro instaurabili», ha spiegato il relatore subito dopo il voto. Saranno dunque i decreti attuativi della legge delega a fissare in modo tassativo i (pochi) casi in cui nella p.a. è possibile fare ricorso a lavoratori a termine. La speranza è che la norma serva a fare chiarezza sulla consistenza di un fenomeno su cui negli ultimi anni molti hanno preferito chiudere un occhio. Con l’effetto di portare i precari della p.a. a quota 103 mila, come emerge dal Conto annuale del tesoro (si veda tabella in pagina) che però è aggiornato al 2013. Vediamo di ripercorrere i termini della questione.
ItaliaOggi – 9 aprile 2015