Carne di cavallo rinvenuta in un campione di lasagne alla bolognese della ditta Primia di San Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna. È il primo caso nazionale. La scoperta è dell’Istituto zooprofilattico sperimentale di Lombardia e Emilia Romagna dopo le analisi su materiale prelevato dai Nas a Brescia. È la prova di quanto il mercato europeo sia esposto a queste frodi, in gran parte riconducibili a Paesi dove i controlli lasciano a desiderare e non è molto difficile mandare al macello animali di provenienza dubbia, ad esempio gli ippodromi. Anelli deboli di una catena che va assolutamente rinforzata. Leggi di seguito anche Il punto e il blog di Enrico Brivio sul Sole Non è uno scandalo… ma un crine di cavallo
Il problema non è la carne prodotta in Italia
di Margherita De Bac. Sul piano della salute, ha ribadito ieri il ministro della Salute, Renato Balduzzi «non ci sono pericoli, tutti i controlli sono stati attivati. Una sorveglianza costante, qui da noi. Carni e allevamenti sono monitorati da tecnici di ministero, Regioni, servizi veterinari delle Asl e carabinieri antisofisticazioni». I Nas hanno raccolto quasi 300 campioni inviati agli istituti zooprofilattici. Finora i ritrovamenti hanno riguardato Gran Bretagna (lasagne Findus) e ravioli e tortellini Nestlé che utilizzava un fornitore tedesco. Negativi i test sul macinato di bovino della multinazionale svizzera sequestrato il 21 febbraio presso lo stabilimento Safim di None, Torino. Non c’è traccia di equino.
Il problema non è la carne prodotta in Italia dove i cavalli destinati all’alimentazione hanno il patentino di macellazione di cui sono sprovvisti quelli da lavoro. Da noi il controllo degli animali dipende dal servizio veterinario a differenza di molti Paesi occidentali dove è competenza del ministero dell’Agricoltura. Il rischio dipende dal fatto che, anche per questioni di risparmio, molto spesso le aziende si riforniscono all’estero. Evidentemente non ci sono sistemi efficaci per tutelarsi e accertare in via preventiva la composizione del macinato spacciato per bovino, come è riportato sull’etichetta.
L’Ue dopo questa vicenda dovrà riorganizzare la rete, come ha giustamente chiesto l’Italia nel discutere a Bruxelles dei test comunitari che scatteranno la prossima settimana in tutti gli Stati membri su carne macinata, hamburger congelati, sughi tipo ragù, carne in scatola, tortellini, ravioli, cannelloni e lasagne.
I kit per identificare attraverso l’analisi del Dna la presenza di carne di cavallo sono stati messi a punto a novembre 2012 dall’agenzia irlandese per la sicurezza alimentare. Ecco perché il fenomeno della contaminazione di carne di specie diversa da quella dichiarata in etichetta sale sulla ribalta solo adesso. (Corriere della Sera)
Il DNA equino è stato rinvenuto nelle “Lasagne alla bolognese” da 600 grammi, lotto n. 12326 con scadenza 23 maggio 2014, prodotte e confezionate dalla ditta PRIMIA di San Giovanni in Persiceto (BO). La PRIMIA ha utilizzato carne macinata della ditta di import/export DIA di Calcinato (BS), ricavata a sua volta da carne fornita da due ditte della provincia di Brescia, presso le quali sono in corso ulteriori accertamenti.
Non è uno scandalo ma… un crine di cavallo
Global Café di Enrico Brivio. Ricordo ancora la fragorosa risata di mio suocero americano quando, un po’ di anni fa, gli dissi che quella sera l’avrei portato a mangiare carne di cavallo. “You are always joking, Enrico!”. Poi quando gli spiegai che era vero, impallidì e si incupì, seriamente preoccupato di dover mangiare quella robaccia che in New Jersey è sinonimo di suola da scarpe. Ritrovò poi colore e buon umore il caro George, dopo una sontuosa cena in quel di Saonara, in provincia di Padova, all’insegna di sfilacci affumicati e polentina, bigoli al ragù di cavallo e un delizioso filetto di puledro. “Unbelievable! The best dinner I ever had in Italy” sentenziò alla fine, incredulo e soddisfatto.
Nervi saldi e attenzione perciò a non allarmarsi troppo, come fece mio suocero quel giorno, di fronte al caso dei tortellini della francese Spanghero, nei quali è stata trovata carne equina al posto di quella di manzo. Lasciamo i tabloid inglesi e tedeschi inorridire, e i siti scandinavi trasudare indignazione. Nella loro cultura, carne equina equivale a veleno, ma noi sappiamo che ben più immonde, per il palato e per il colesterolo, sono certe fritture untuose e salsicciotti indefinibili che quei popoli nordici ingurgitano beatamente ogni giorno!
Per carità, è colpevole chi non indica in etichetta ciò che veramente c’è nel prodotto, come ha fatto Spanghero. E la cosa diventa ben più seria se vi sono anche tracce di sostanze chimiche dannose come il fenilbutazone, un antinfiammatorio somministrato ai cavalli da corsa. Se uno poi è vegetariano e animalista, e non vuole mangiare carne di cavallo, è giusto che sia informato (anche se mi sfugge perché alcuni riservino a un tipo di quadrupede le attenzioni che negano a placide mucche o grufolanti porcellini). Ma comunque ragazzi, non scherziamo! E’ una questione che nulla, ma proprio nulla, ha a che vedere con i grandi scandali alimentari di fine anni ’90. Ovvero i mangimi con resti di animali che portarono in Gran Bretagna alla diffusione dell’encefalopatia spongiforme bovina, quel morbo della mucca pazza che ridusse in fin di vita decine di persone in Europa, o il caso dell’olio da motore con diossina riversato nel mangime dei polli in Belgio. Quelle sì furono vere nefandezze che misero a repentaglio vite umane. Un po’ di carne di puledro nei tortellini al confronto dei macigni di quegli scandali alimentari ha il peso…. di un crine di cavallo. (Il Sole 24 Ore)
Il Punto
Il sistema di controllo degli altri paesi europei sulla sicurezza alimentare scricchiola ancora una volta. I fatti di questi giorni pongono numerose e urgenti riflessioni. E non pochi interrogativi. Sul ruolo della prevenzione e sui comportamenti illegali, prima di tutto. E’ chiaro che nel caso di carni introdotte in modo fraudolento sul mercato, non esiste alcuna garanzia. Soprattutto sul tipo di materia prima utilizzato. E allora occorrerebbe riconsiderare anche il ruolo dell’autocontrollo affidato ai produttori. A cosa serve investire risorse in un sistema se poi i dati che ne risultano non sono affidabili? Non sarebbe meglio affidarsi alla terzietà dei servizi di sanità pubblica? E investire, come invece non è stato fatto in questi anni, nel potenziamento degli organici, delle strumentazioni e delle risorse? Invece queste sono sempre più vincolate a ragionamenti ragionieristici e i servizi rischiano di essere indeboliti nella funzionalità ed efficacia.
24 febbraio 2013 – riproduzione riservata