Il datore di lavoro non può spiare le conversazioni Skype dei suoi dipendenti. Tecnologie, lavoro e privacy di nuovo al centro di una pronuncia del Garante privacy che ha accolto il ricorso di una lavoratrice che lamentava l’illecita acquisizione di conversazioni con clienti e fornitori, fatta dal datore di lavoro, e usate poi per licenziarla. Il Garante ha ribadito che “il contenuto di comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro godono di garanzie di segretezza tutelate anche a livello costituzionale”.
A seguito del provvedimento del Garante il datore di lavoro non potrà effettuare alcun trattamento dei dati personali contenuti nelle conversazioni ottenute in modo illecito, limitandosi alla conservazione di quelli finora raccolti ai fini di una eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria. Nel caso esaminato, si legge nell’odierna newsletter dell’Autorità Garante privacy, “il datore di lavoro è incorso in una grave interferenza nelle comunicazioni, attuata, per sua stessa ammissione, attraverso l’installazione di un software sul computer assegnato alla dipendente in grado di visualizzare sia le conversazioni effettuate dalla ricorrente dalla propria postazione di lavoro prima di uscire dall’azienda, sia quelle avvenute successivamente da un computer collocato presso la propria abitazione”. Questa è una procedura in contrasto con la tutela della segretezza delle comunicazioni fatta dal nostro ordinamento, con le linee guida del Garante e con la stessa policy aziendale.
Scrive il Garante Privacy: “Pur spettando, infatti, al datore di lavoro definire le modalità di utilizzo degli strumenti aziendali, occorre comunque che queste rispettino la libertà e la dignità dei lavoratori, nonché i principi di correttezza (secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti di dati devono essere rese note ai lavoratori), di pertinenza e non eccedenza stabiliti dal Codice privacy. Principi questi da tenere ben presenti, in considerazione del fatto che l’esercizio del controllo da parte del datore di lavoro può determinare la raccolta di informazioni personali, anche non pertinenti, di natura sensibile oppure riferite a terzi”.
Help consumatori – 28 settembre 2015