Proverà la Corte costituzionale a sciogliere il nodo del rito Fornero. Almeno di quella che, alla prova dei fatti, si è rivelata una delle disposizioni di più controversa applicazione, quella sull’identità del giudice chiamato a intervenire nelle due fasi in cui si scompone oggi il procedimento di primo delle cause che hanno per oggetto la legittimità di un licenziamento.
La Consulta è stata chiamata in causa dal Tribunale di Siena che, partendo dall’assunto di incompatibilità tra il giudice della fase sommaria e quello dell’(eventuale) giudizio di opposizione, sottolinea la specificità di quelle sedi giudiziarie di ridotte dimensioni nelle quali il giudice del lavoro è unico.
Si viene così a creare una situazione paradossale, per cui, a giudizio della sezione Lavoro del tribunale senese, per quelle che sono considerate controversie di elevata delicatezza, tali da richiedere un giudice a elevato tasso di specializzazione, la fase di opposizione nel primo grado di giudizio deve essere presa in carico da un giudice non specializzato, sottraendola a quello invece più competente. Tanto basta per sollevare la questione di legittimità sulla quale si dovrà pronunciare la Corte costituzionale.
Nel frattempo però a intervenire potrebbe essere anche la Corte di cassazione, su un – per ora solo possibile ma forse probabile – ricorso contro la decisione della Corte d’appello di Milano, di cui molto si discute, che ha ritenuto, il 13 dicembre scorso, che il giudice della fase sommaria e quello dell’opposizione non possono coincidere, pena il venire meno dell’imparzialità. Pronuncia che, si sottolinea alla sezione Lavoro del tribunale milanese, si pone quasi come un unicum in un panorama giurisprudenziale che ha visto respinte, nella pressochè totalità dei casi, le istanze di ricusazione presentate su questo specifico punto. La Cassazione comunque dovrebbe pronunciarsi entro sei mesi, anticipando i tempi mediamente più lunghi della Corte costituzionale.
Più complicato si profila invece un intervento sul piano normativo che, oltre a questo aspetto assai delicato, dovrebbe però mettere a fuoco anche ulteriori possibili modifiche alla legge 92/12. Che si è rivelata, almeno sul piano delle modifiche apportate a una procedura che tutto sommato aveva dato buona prova, assolutamente carente rispetto alla dichiarata volontà di accelerare i tempi per le decisioni sulle cause per licenziamento illegittimo.
Partita con la volontà di tagliare la durata di questi processi, la nuova procedura ha condotto in molti casi a una situazione di impasse se non di vero e proprio ritardo. Assai diverse si sono rivelate le modalità applicative da tribunale a tribunale, costringendo i giudici, ma soprattutto gli avvocati a tenere molto (troppo) conto di una specificità locale nell’attuare una disciplina che invece doveva essere identica ovunque. Al ministero della Giustizia sono state trasmesse le osservazioni degli avvocati del lavoro e una riflessione è in corso. Con quali esiti è però ancora tutto da vedere.
Il Sole 24 Ore – 16 gennaio 2013