Sommario. Us Epa esprime una valutazione tossicologica per il GenX e in questo si affianca a quanto già fatto dall’Istituto olandese per la salute e l’ambiente Rivm pochi mesi addietro. Le valutazioni tra Rivm e Us Epa sono divergenti per la tipologia di effetto tossico considerato (interferenza con il rapporto albumine/globuline; ritardato sviluppo del feto). Cionondimeno tali opinioni richiamano ad uno sforzo della comunità scientifica internazionale e nazionale a condividere metodologie, conoscenze, evidenze sperimentali ed epidemiologiche, laddove “validate” da esperti indipendenti sulla base di quanto previsto dalle linee guida Cochran, ad esempio. Us Epa aprendo il suo documento all’opinione pubblica, prima di ratificarlo in via definitiva, intraprende una strada che al momento Efsa non segue, con qualche domanda in merito all’annunciata, anticipata, ma ancora non pubblicata opinione sul rischio alimentare per Pfos e Pfoa che il gruppo di lavoro Efsa ha terminato a fine febbraio 2018.
US-EPA e GenX: un documento veramente informativo
L’agenzia statunitense per la protezione ambientale apre al commento la valutazione tossicologica per PFAS finora ritenuti di minore impatto rispetto a PFOS e PFOA, per la maggiore polarità e minore capacità di bio-accumulo, quali GenX e PFBS.
Il Gen X è un composto già valutato, anche in termini di esposizione alimentare da parte dell’Istituto Olandese per la Salute e l’Ambiente RIVM (come già riportato da Sivemp Veneto “Aggiungi un PFAS a tavola”), per la presenza di un importante insediamento produttivo a Dordrecht, che dopo avere dismesso la produzione di PFOA, ha iniziato quella di un perfluoro-etere, ritenuto a minore impatto sulla salute e sull’ambiente. La estrazione del GenX a partire da scarti di lavorazione importati dall’impianto olandese era stata autorizzata dalla Regione Veneto nel 2014 e nella scorsa estate la vicenda era stata oggetto di richiesta alla Regione dalle autorità ministeriali olandesi con competenze sulle attività produttive e sull’acqua nell’ambito di una indagine sulla gestione del rischio relativo alla produzione, utilizzo e rilascio dei PFAS. Al momento attuale, dai dati ARPAV la presenza di GenX sembra limitata all’insediamento produttivo Miteni, senza interessamento della filiera idropotabile.
Il GenX quale risultato della stewardship per la progressiva sostituzione del PFOA dai processi manufatturieri: dalla padella alla …padella?
Il documento messo a consultazione il 19 novembre scorso da US-EPA non costituisce ancora il punto di vista ufficiale della Agenzia, ed è stato sottoposto ad una prima revisione da parte di qualificati esperti del settore, ed ora aperto a commenti, che verranno considerati nella successiva definizione del parere definitivo. US EPA si propone di potere dare uno strumento di valutazione e di gestione del rischio ai vari stati membri potenzialmente interessati alla presenza di GenX nei comparti ambientali e alimentari, tenendo conto che a partire dal 2006, con termine nel 2015, l’industria USA ha progressivamente adottato una politica di sostituzione volontaria del PFOA nei processi di produzione dei fluoro-polimeri, quali il Teflon, ampiamente utilizzato ad esempio quale materiale anti-aderente nelle pentole. Per abbattere il rilascio ambientale, sotto stimolo della Agenzia Ambientale e delle Autorità Federali, la cosiddetta “stewardship”, il GenX ha di fatto sostituito l’utilizzo del PFOA.
La prospettata tossicità per l’uomo del GenX secondo US-EPA
US EPA nel documento prende in considerazione gli studi di tossicità subcronica/cronica per esposizioni orali negli animali da laboratorio, riferiti al sistema riproduttivo e alla tossicità nello sviluppo embrionale. Le dosi ritenute di partenza nel modello animale, estrapolate mediante opportuna modellistica tossicocinetica tossicodinamica all’uomo adulto, portano a indicare una dose di riferimento per effetti di tossicità subcronica di 200 ng/kg per giorno, che si abbassa a 80 ng/kg per giorno per tossicità cronica, tenendo conto dell’applicazione di fattori di incertezza a scopo cautelativo, tra cui una attività tossica sul sistema immunitario che necessita di maggiori evidenze scientifiche.
Il parere RIVM sul GenX: un differente end-point tossicologico
L’Istituto per la Salute e Ambiente olandese RIVM nel suo parere del 2018 aveva indicato una dose di riferimento per tossicità cronica, riferita a effetti immuno-tossici (alterato rapporto tra albumine e globuline ) di 21 ng/kg per giorno, riscontrando il Gen X in acque e alimenti coltivati in loco nelle vicinanze dell’impianto, senza che tuttavia le concentrazioni potessero dare indicazioni su un superamento del valore guida per la salute umana. Più recentemente, nell’ambito di una valutazione di tossicità cumulativa con altri PFAS per quanto riguarda un effetto di ipertrofia epatica, RIVM ha stimato un fattore di tossicità relativo per il GenX pari a circa 1/17 di quello attribuito al PFOA.
Il documento US EPA è particolarmente utile perché fornisce informazioni sulla contaminazione da GenX riscontrata in vicinanza di altri siti produttivi, unitamente ad evidenze sulla più o meno efficace attività delle barriere idrauliche nel contenere il rilascio ambientale di tali molecole dai siti produttivi e la effettiva rimozione ad opera di impianti di potabilizzazione delle acque a differente tecnologia.
Anche il PFBS a 4 atomi di carbonio considerato da US EPA per la sua tossicità
Nella stessa data del 19.11.2018 US-EPA ha anche condiviso un documento sul composto a corta catena PFBS, (acido perfluorobutansulfonico). Prendendo in considerazione vari effetti tossici in animali da esperimento, con particolare riferimento ad interferenze con la funzione tiroidea, si sta indicando una dose di riferimento per tossicità cronica di 10,000 ng/kg per giorno, che comunque sottolinea come anche i composti a corta catena possano avere una loro rilevanza, soprattutto in una ottica di forte persistenza ambientale, concentrazioni nei corpi idrici in crescita, forte mobilità negli alimenti di origine vegetale e ancora una più difficile eliminazione da parte dei trattamenti di potabilizzazione dell’acqua. In tale senso, anche le autorità norvegesi, dopo l’agenzia Federale per l’Ambiente tedesca UBA propongono l’inserimento di tale PFAS a corta catena tra le sostanze di altissima preoccupazione (SVHC) nell’ambito del regolamento REACH.
Chi non è in anticipo sui PFAS è in ritardo
In tutto questo, si resta in attesa della valutazione sul rischio alimentare per PFOS e PFOA da parte di EFSA, che non sembra riconoscere la stessa procedura di consultazione pubblica adottata dalle Agenzie Americane US EPA e ATSDR per le loro opinioni. L’attesa, preannunciata, anticipata opinione EFSA a questo punto potrebbe risultare oltremodo di scarso impatto e soprattutto interlocutoria rispetto all’evolversi delle conoscenze tossicologiche, che potrebbero più verosimilmente trovare maggiore spazio in una successiva opinione EFSA sui PFAS in generale per cui si dispone di sufficiente evidenza scientifica per la loro caratterizzazione tossicologica. Tale opinione è in itinere e ancora oggetto di discussione nell’ambito del gruppo di lavoro, che riferirà nella prossima riunione del Panel Contaminant prevista a gennaio 2019.
L’unione fa la forza. I risultati della seconda campagna di biomonitoraggio umano nelle zone esposte a PFAS nel veneto decisivi per verificare l’efficacia della prevenzione attraverso i filtri posti nelle filiere idropotabili. In vino veritas?
Il problema PFAS, attualmente globale, richiede una condivisone approfondita di conoscenze, metodologie di valutazione del rischio, e di esempi su come gestirlo che vanno ben oltre alle situazioni locali riferite ad hot spots. Una rassegna di tutti i casi aperti da inquinamento PFAS soprattutto negli Stati Uniti può essere trovata sul sito della Società per servizi analitici Eurofins, unitamente a varie iniziative sia dei cittadini, sia delle autorità, per ridurre il rischio di esposizione alimentare.
L’evolversi delle conoscenze non aiuta una valutazione compiuta dei dati di contaminazione alimentare che la Regione Veneto ha affidato ad EFSA. Piuttosto, saranno decisivi i risultati del secondo round di biomonitoraggio (il cosiddetto T1) sugli stessi soggetti sottoposti ad indagine più di due anni fa (T0) che dovrebbe essere in grado di verificare se le misure di prevenzione dell’esposizione da PFAS mediante i filtri agli impianti di potabilizzazione delle acque siano stati efficaci a ridurre la contaminazione nel sangue. I dati epidemiologici riferiti dalla sanità veneta in sede SIDILV a Perugia lo scorso 8 novembre dal Responsabile Sanitario per la problematica PFAS della Regione Veneto segnalano una progressiva riduzione delle patologie attribuibili ad esposizioni prenatali nelle zone critiche per la presenza di PFOA nelle acque potabili quando sono stati inseriti i filtri. Tali patologie risultavano avere una più alta prevalenza in tali aree rispetto alla cosiddetta zona di controllo. Tuttavia, il lavoro pubblicato sulla rivista internazionale Environmental International e con co-autori della sanità regionale, associa nei gruppi esposti i livelli elevati di PFAS a corta e lunga catena nel sangue anche con abitudini alimentari legate alla fruizione di vino locale, selvaggina, prodotti dell’orto e di animali da cortile.
Non è dato sapere al momento se tale follow-up di biomonitoraggio verrà ancora affidato all’Istituto Superiore di sanità come ente terzo e indipendente rispetto alla gestione della problematica PFAS, oppure la Regione si vorrà affidare a laboratori di sua fiducia. La presenza di analoghe iniziative di biomonitoraggio sul territorio può richiedere di considerare un livello di competenza alto, coordinato con analoghe iniziative a livello europeo, quali quelle del progetto HBM4EU, in grado di garantire l’opportuna terzietà, e, perché no, condiviso con la cittadinanza nel quadro di un approccio ispirato alla “citizen science” dove l’individuo partecipa attivamente alla fase di valutazione e gestione del rischio insieme alle autorità competenti.
GenX and PFBS Draft Toxicity Assessments
The role of human biomonitoring in assessing and managing chemical risks
A cura redazione del Sivemp Veneto
24 novembre 2018