Via libera del Consiglio dei ministri al decreto che riforma le professioni. Con il semaforo verde di ieri si scrive l’atto finale di una serie di interventi, iniziati con i principi generali fissati dalla manovra-bis di agosto fino al Dl 1/2012, che ha mandato in soffitta il sistema delle tariffe professionali regolamentate dagli ordini per sostituirle con i parametri relativi alle spese di giustizia. L’obiettivo era quello di raggiungere una liberalizzazione che qualcuno avrebbe voluto più “pura” altri più “corretta”. Dal Dpr, licenziato ieri da palazzo Chigi, non riescono a “saltar fuori” gli avvocati che non hanno ottenuto lo stralcio, richiesto a gran voce e, per ora, neppure avuto una risposta sulla possibilità di far approvare il loro Statuto dalla Commissione giustizia in sede deliberante. Ecco il testo.
Il Governo si è comunque impegnato a dare sul punto una risposta scritta che arriverà la prossima settimana. La versione definitiva della riforma ha recepito le osservazioni del Consiglio di Stato e del Parlamento eliminando le ombre di un eccesso di delega. Riscritta la definizione di professione regolamentata, la norma, sempre sull’onda dell’indicazione del Cds, taglia fuori dal suo raggio d’azione qualunque altro soggetto iscritto in albi, registri, o elenchi.
Sparisce il tirocinio obbligatorio: gli ordini che non lo prevedono possono non istituirlo o mantenerlo più breve, visto che il termine massimo dei 18 mesi è “personalizzabile”.
Cancellata anche l’incompatibilità per i pubblici dipendenti sia a tempo parziale sia full-time. Nella formazione, obbligatoria a pena di sanzioni, è confermato il ruolo centrale del consiglio nazionale degli ordini. Si “disobbedisce” invece al consiglio di Stato in tema di pubblicità, ribadendo l’obbligo di fare una pubblicità funzionale all’«oggetto». Questo per evitare derive eccentriche che portino il professionista a sbizzarrirsi con spot troppo creativi «estranei» all’attività svolta.
Viene messo nero su bianco anche il dovere di dotarsi di un’assicurazione per tutelare il cliente da eventuali danni, con un via libera alle polizze collettive ma senza l’obbligo per le compagnie di stipulare la polizza. In compenso i professionisti hanno un anno di tempo per organizzarsi.
Sul fronte della deontologia c’è il paletto imposto a chi vuole far parte dei consigli di disciplina che dovrà rinunciare agli incarichi amministrativi. Le designazioni spettano al presidente del tribunale nel cui circondario hanno sede i consigli: attingerà a un elenco, predisposto dal consiglio dell’ordine, con un numero di candidati doppio rispetto agli aspiranti.
Del lavoro fatto dal Governo, risultato dei “segni rossi” fatti dal Cds, dalle Commissioni parlamentari e anche dai professionisti stessi, sembrano soddisfatti i diretti interessati.
«Dopo una prima lettura del testo – afferma il presidente del Comitato unitario dei professionisti, Marina Calderone – non posso che esprimere la nostra soddisfazione perché le criticità che avevamo evidenziato sono state chiarite. Ho visto che sono stati risolti problemi importanti che potevano creare non poche difficoltà in fase di applicazione della norma se fosse rimasta come era prima di arrivare sul tavolo del Consiglio di Stato. Il testo è radicalmente diverso e tiene conto delle nostre indicazioni. È normale che ci siano delle posizioni che non trovano piena soddisfazione – prosegue Marina Calderone – perché, in qualche caso, in parte sacrificate. Ma al di là delle aspettative dei singoli – conclude il presidente del Cup – ho ritrovato nel testo lo spirito della riforma. Si tratta di un buon strumento per consentire un’applicazione differenziata nei singoli ordinamenti, tarata sulla base delle esigenze di categoria». L’Esecutivo si è preoccupato anche di fugare i dubbi di incostituzionalità sullo strumento prescelto per dare un nuovo volto alle professioni. Qualunque accusa di aver delegificato su una materia come le professioni, la cui competenza dovrebbe essere condivisa con le regioni, si spiega con la necessità di eliminare «le indebite restrizioni all’accesso delle attività economiche». Maglie più larghe finalizzate alla tutela della concorrenza su cui veglia esclusivamente lo Stato.
Tirocinio massimo per 18 mesi
L’accesso alle libere professioni cambia sotto la spinta della normativa comunitaria, che impone esigenze di uniformità sia nei titoli di studio sia nei successivi aspetti “imprenditoriali” (qualità, informazione e tutela del consumatore, pubblicità, assicurazione).
L’accesso (articolo 2 del Dpr di riforma approvato ieri) è oggetto di disposizioni particolari: una volta iscritto in un albo, il professionista è libero di operare, purché rispetti generali limiti di preparazione e di correttezza. L’accesso alla professione si fonda infatti sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico, del professionista.
Il numero chiuso vige solo per alcune professioni (notai, farmacisti), ma per particolari ragioni di interesse pubblico (come la tutela della salute) che esistono anche nell’accesso ad alcune facoltà universitarie (come medicina). L’accesso agli albi nazionali deve inoltre essere coerente agli standard comunitari, escludendo discriminazioni basate sulla nazionalità o sull’ubicazione della sede della società professionale.
Restano l’esame di Stato (previsto dall’articolo 33 della Costituzione) e la possibilità di limitazioni in presenza di condanne penali o disciplinari irrevocabili. I vari albi locali saranno unificati sotto l’aspetto anagrafico, per consentire che dei provvedimenti disciplinari subiti resti traccia anche in caso di trasferimento di sede.
Il tirocinio è ridotto da pluriennale a 18 mesi (massimo) e per sei mesi può essere svolto durante il corso di studio per la laurea, sulla base di convenzioni tra Consigli nazionali degli Ordini e ministero dell’Università. Pur non essendo configurabile come rapporto di lavoro subordinato, il tirocinio va accompagnato dalla corresponsione di un equo indennizzo (articolo 9, comma 4 Dl 1/2012). Gli Ordini cureranno l’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinante e l’adeguamento costante della preparazione, in funzione della garanzia di serietà e adeguatezza del servizio professionale da prestare (articolo 6). Il tirocinio è obbligatorio per i soli ordinamenti professionali che lo prevedano.
Per gestire un tirocinante, il titolare dello studio deve avere cinque anni di anzianità e un tetto di tre praticanti contemporanei (salva possibilità di deroga dal consiglio dell’ordine o collegio). Le professioni che prevedevano un periodo inferiore ai 18 mesi possono concordare un periodo di tirocinio durante gli studi universitari, mentre rimane immutato il periodo di 18 mesi previsto, in sede comunitaria, per l’iscrizione nel registro dei revisori legali. Il tirocinio può essere svolto, per un periodo non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri Paesi, o, per tutta la sua durata, presso pubbliche amministrazioni, previo convenzionamento. Ferma la verifica di effettività e serietà, il tirocinio può essere svolto anche in costanza di rapporto di pubblico impiego o di rapporto di lavoro subordinato privato, purché sussista compatibilità di orari e modalità di svolgimento.
È poi prevista la soggezione dei praticanti alle norme deontologiche dei professionisti abilitati ed al medesimo regime disciplinare. In alternativa alla pratica svolta presso lo studio professionale, vi può essere la frequenza con profitto di specifici corsi di formazione professionale organizzati dagli Ordini o Collegi, nonché da associazioni o enti autorizzati dai Consigli nazionali con intervento del ministro vigilante.
I corsi di formazione possono essere organizzati da soggetti diversi anche dalle associazioni professionali e correlativamente i Consigli nazionali degli Ordini o Collegi, previo parere favorevole del ministro vigilante, emanano un regolamento attuativo concernente: a) le modalità e le condizioni per l’istituzione dei corsi di formazione (con l’obiettivo espresso di garantire libertà e pluralismo dell’offerta formativa); b) i contenuti formativi essenziali; c) la durata minima dei corsi con carico didattico minimo non inferiore a duecento ore; d) le modalità e le condizioni per la frequenza dei corsi di formazione, nonché per la verifica intermedia e finale del profitto, affidate ad una commissione di professionisti o docenti universitari in modo da garantire omogeneità di giudizio sull’intero territorio nazionale.
La riforma in breve
L’assicurazione. I professionisti – è una delle novità più rilevanti – dovranno stipulare polizze di responsabilità civile per il proprio operato, ma l’obbligo sarà effettivo solo tra un anno. Nel frattempo saranno negoziate delle convenzioni collettive gestite però solo da Ordini e Casse previdenziali: come richiesto dagli Ordini stessi non ci sarà in questo campo un ruolo per le altre associazioni professionali.
Il tirocinio. Non sarà obbligatorio per tutte le professioni, come previsto nella prima versione del regolamento, ma solo nel caso in cui ciò sia richiesto dai singoli ordinamenti professionali. La durata massima sarà di 18 mesi (nel precedente testo invece questo poteva essere interpretato come un limite minimo).
I poteri disciplinari. Una delle critiche più ricorrenti agli Ordini è di essere autoreferenziali, in particolare per quel che riguarda le azioni disciplinari: l’operato degli iscritti viene giudicato da altri iscritti, in assenza di un’entità effettivamente terza. Con il regolamento vengono inseriti elementi di separazione tra la funzione amministrativa e quella disciplinare: i componenti dei collegi di disciplina saranno nominati – comunque tra i consiglieri dell’Ordine – dal presidente del tribunale circondariale, che pescherà in una lista con numero di nominativi doppio rispetto a quelli da scegliere.
La pubblicità. È un altro punto su cui storicamente gli Ordini hanno opposto grande resistenza, con la motivazione di non voler essere assimilati alle imprese. Il compromesso individuato prevede la possibilità per i professionisti di svolgere una «pubblicità informativa», dunque sul contenuto della prestazione professionale e sulle caratteristiche di chi la offre.
Gli avvocati. Sono sul piede di guerra avendo chiesto fino all’ultimo al ministro della Giustizia Severino di essere esclusi dalla nuova normativa. Così non sarà, almeno per il momento. Il Consiglio nazionale forense parla di «attacco al dirirtto di difesa», sostenendo che la funzione costituzionale esercitata dall’avvocato richiederebbe una legge ad hoc. Dal regolamento sono invece escluse, ma limitatamente ad alcuni aspetti come quello disciplinare, le professioni sanitarie.
Il Sole 24 Ore – 4 agosto 2012