Contributi, investimenti, sostenibilità, adeguatezza. Sono queste le parole chiave delle casse di previdenza dei professionisti nel prossimo futuro. Da una parte gli enti previdenziali devono confrontarsi con redditi degli iscritti ancora in calo per effetto della crisi, nonché con la difficoltà dei giovani a entrare nel mondo del lavoro. Una situazione che si ripercuote sulla capacità di pagare i contributi previdenziali, nonché sull’importo degli accantonamenti destinati a diventare rendita futura.
I contributi, a loro volta, vengono investiti per garantire la pensione. E su questo fronte le Casse devono fare i conti con due novità normative. La prima è l’aumento della tassazione sui rendimenti dal 20 al 26%, introdotta dalla legge di stabilità del 2015, “attutito” da un credito di imposta del 6% se si effettuano investimenti a medio lungo termine in determinati settori. Una compensazione che non ha riscosso particolare apprezzamento tra gli operatori, con la conseguenza che l’appesantimento della tassazione rischia di erodere i rendimenti nel lungo periodo. La seconda, una volta pubblicato il relativo decreto attuativo previsto dal Dl 98/2011, riguarda le regole generali sulla ripartizione delle diverse tipologie di investimenti e sui conflitti di interesse, che molto probabilmente obbligherà alcune Casse a rivedere il portafoglio.
Qualche stress sul fronte delle entrate contributive e nuovi paletti sugli investimenti non dovranno però compromettere la sostenibilità dei bilanci a lungo termine. Dopo il test a cinquant’anni richiesto dal decreto legge 201/2011, quest’anno, secondo le indicazioni fornite dal ministero del Lavoro, possono tornare a quello trentennale, con la possibilità di ipotizzare anche rendimenti del patrimonio superiori all’1% previsto dalla riforma Monti-Fornero, anche se più di un ente, a tutela degli iscritti, sembra orientato a continuare a misurarsi con proiezioni a 40 o 50 anni.
Il rigore dei conti, peraltro, deve obbligatoriamente convivere con l’adeguatezza delle pensioni future. Gli enti previdenziali “nuovi”, nati con il decreto legislativo 103/1996, da sempre adottano il sistema contributivo che aiuta il rigore dei conti. Quelli istituiti con il Dlgs 509/1994 in più di un caso negli anni scorsi hanno approvato riforme che hanno introdotto correttivi ai sistemi in vigore in precedenza al fine di garantire la sostenibilità dei conti. Ma al contempo è stato deciso l’incremento progressivo dei contributi (ancora sensibilmente ridotti rispetto al 33% previsto per i lavoratori dipendenti) e dei requisiti minimi al fine di garantire una pensione adeguata.
Il Sole 24 Ore – 14 agosto 2015