Sono (quasi) tutti scontenti, perciò, secondo una vecchia regola non scritta, c’è la possibilità che il provvedimento abbia colto nel segno. Resta il fatto che il secondo tentativo del governo di cancellare le Province (il primo finì sconfessato da una sentenza della Corte Costituzionale) produrrà l’ennesimo conflitto tra lo Stato centrale e le sue articolazioni periferiche.
Per tutti Luca Zaia, governatore del Veneto e primo sostenitore dell’esistenza in vita delle Province: «Per coerenza riproporremo il ricorso alla Consulta, visto che anche nella precedente occasione l’avevamo fatto». Fatto e vinto, per la cronaca.
Questa volta, però, il governo ha aggiustato il tiro. Ammaestrato dalla scoppola subita dai suoi predecessori, il ministro Graziano Delrio ha prodotto un decreto, approvato nel week end dalla Camera e ora atteso alla verifica in Senato, che non abolisce le Province (sarebbe contrario alla Costituzione, l’abbiamo capito tutti) ma, in attesa di una legge di rango costituzionale che proceda alla cancellazione, le svuota di ogni rappresentatività politica, declassandole a enti di secondo grado. Tradotto: niente più presidenti e consigli provinciali elettivi, le Province rimarranno come assemblee dei sindaci del territorio, a titolo gratuito, con funzioni di area vasta come la gestione delle strade e delle scuole superiori. La prima conseguenza pratica prodotta dal decreto è che, nel 2014, non si voterà per rinnovare le amministrazioni provinciali arrivate a scadenza. Verranno commissariate, com’era già accaduto nel 2012 e poi quest’anno con le prime Province cadute sotto la scure.
In Veneto, si produrrà una situazione di questo tipo: l’unica Provincia che rimarrà in piedi secondo il modello tradizionale sarà quella di Treviso, che scadrà nel 2016; a quelle di Belluno e Vicenza, guidate già oggi da un commissario, si aggiungeranno anche Venezia, Padova, Verona e Rovigo. In compenso, a Venezia la Provincia sarà sostituita da una delle dieci Città metropolitane previste in Italia dal decreto Delrio; una possibilità che, grazie a un emendamento bipartisan firmato dai deputati veronesi, potrà essere estesa in futuro anche all’aggregazione tra Verona e Vicenza, allargabile potenzialmente a Rovigo (la cosiddetta area Vivrò).
Il presupposto perché tutto questo avvenga in concreto è che la legge venga approvata, rapidamente e senza subire modifiche, anche al Senato. Ipotesi non del tutto scontata, per due ragioni: i numeri dell’area governativa a palazzo Madama sono più ridotti e, all’interno della maggioranza, si sono già levate critiche (Antonio De Poli, senatore Udc: «Il testo proposto, così com’è, non va bene. Non c’è bisogno di svuotare le Province per creare un nuovo livello intermedio, sarebbe solo una presa in giro»). Perciò: «Vediamo come andrà al Senato – avverte Roberto Ciambetti, assessore regionale agli Enti locali – dove, per paradosso, questo pasticciaccio di legge potrà passare soltanto se avrà anche i voti decisivi degli eletti nelle regioni a Statuto speciale e nelle due Province autonome di Trento e Bolzano, che sono escluse dall’applicazione del provvedimento. Se passerà anche lì, come Regione Veneto la impugneremo sicuramente davanti alla Corte Costituzionale».
Ammesso e non concesso che tutto fili come il governo vorrebbe, rimane un quesito nodale: con lo svuotamento delle Province, la malconce casse pubbliche risparmieranno qualcosa oppure no? Il ministro Delrio non ha dubbi: «La sola eliminazione del personale politico (presidenti, giunte e consigli) e delle relative indennità o gettoni, produrrà una riduzione della spesa superiore ai 100 milioni di euro». Se così fosse, le sei Province commissariate del Veneto garantirebbero una quota parte di risparmio tra gli 8 e i 10 milioni. Ma il presidente dell’Unione Province del Veneto, il trevigiano Leonardo Muraro (Lega), contesta alla radice queste previsioni: «Le Province rappresentano soltanto l’1,4% sul totale della spesa pubblica. E questo provvedimento non soltanto non produrrà risparmi concreti ma, al contrario, porterà a un aumento della spesa causato dal proliferare di enti strumentali e agenzie regionali sostitutive».
Alessandro Zuin – Corriere del Veneto – 24 dicembre 2013