Il Piano socio-sanitario è diventato legge regionale grazie ai voti della maggioranza Lega-Pdl. Ma a gioire, più che i litigiosi alleati del centrodestra, sono i poteri forti che dal business più cospicuo del Veneto
Il nuovo Piano socio-sanitario del Veneto è stato approvato dall’assemblea di Palazzo Ferro-Fini con i voti a favore del Pdl e della Lega (30). Contrari, invece, i consiglieri del Partito Democratico, di Italia dei Valori, Verso Nord e Unione Nordest. Astenuti l’Udc e Giuseppe Bortolussi. «Questo piano arriva dopo 16 anni ma nel momento giusto», ha commentato l’assessore alla sanità Luca Coletto «solo una concreta riforma potrà rispondere ai tagli nazionali che si prospettano senza intaccare la quantità e la qualità dei servizi erogati ai cittadini». Sul piano, tuttavia, pende un problema di legittimità costituzionale sollevato in aula dallo stesso Coletto e riguardante la titolarità delle decisioni su schede ospedalierie e direttori generali delle Usl. Il Piano la attribuisce al consiglio, la giunta la rivendica.
In serata il Piano socio-sanitario è diventato legge regionale grazie ai voti della maggioranza Lega-Pdl. Ma a gioire, più che i litigiosi alleati del centrodestra, sono i poteri forti che dal business più cospicuo del Veneto (il welfare appunto) continueranno a trarre lauti profitti. Parliamo dei Project financing, la finanza di progetto dove i privati sostengono (in tutto o in parte) gli oneri necessari a realizzare un’opera pubblica e le istituzioni ricambiano concedendo loro l’appalto esclusivo dei servizi e ripianando il debito a lungo termine. L’esempio classico è il nuovo ospedale di Mestre (le cui rate di pagamento impegneranno i contribuenti per i prossimi vent’anni) ma nella sanità veneta – da Treviso a Verona – i project sono svariati: decisamente remunerativi per le cordate (imprese edili, progettisti, istituti di credito, aziende di servizi) che li contraggono; assai meno per il soggetto pubblico, costretto a pagare interessi passivi fino al 13%.
Perché parliamo di questo nel giorno in cui l’assemblea veneta approva la “road map” quadriennale del welfare? Perché, mentre i consiglieri si baloccavano in emendamenti cartacei di dubbia rilevanza, un’incandescente riunione del gruppo pidiellino ha riaffermato la longa manus di Giancarlo Galan in ambito sanitario. Da una parte il presidente della commissione sanità Leonardo Padrin (l’autentico dominus del Piano) artefice di un ordine del giorno (sottoscritto anche dal capogruppo del Pd Laura Puppato) che chiedeva una moratoria dei project in attesa delle schede ospedaliere che ridefiniranno la politica di investimenti; posizione condivisa dallo speaker Dario Bond e dal vice Piergiorgio Cortellazzo.
Sull’altro fronte, il vicepresidente della giunta Marino Zorzato, spalleggiato dai consiglieri di fede galaniana, irriducibile nel pretendere il ritiro della proposta in nome della “continuità”: parole grosse, strepiti, braccio di ferro. Infine Padrin, timoroso di compromettere l’approvazione del Piano, ha ceduto. In ballo, in effetti, non c’era soltanto l’unità pidiellina ma la stessa tenuta della maggioranza perché i leghisti veronesi, fin dalla mattinata, hanno fatto quadrato intorno ai “loro” project riguardanti gli ospedali Borgo Trento e Borgo Roma, paventando, in caso di sospensione dei contratti, il ritiro dell’ingente contributo promesso da Cariverona. Difficile non scorgere la regia di Flavio Tosi nella levata di scudi padana, a conferma di un’egemonia che resiste alle stagioni politiche. Al governatore Luca Zaia, così, non è rimasto che rivolgere un appello ecumenico all’aula, plaudendo alla «Nuova stagione delle riforme» inaugurata dall’approvazione del Piano: «Già oggi il Veneto è la regione più virtuosa della sanità italiana», ha rivendicato «abbiamo un tasso medio di ospedalizzazione di 7 giorni mentre altri arrivano a 30, nei nostri ospedali si cura presto e meglio; da due anni teniamo i conti in attivo senza avere, unici in Italia, l’addizionale Irpef sulla sanità. I veneti, insomma, possono contare su una sanità di valore assoluto, ma possono anche essere certi che, con questo Piano, progrediremo ancora».
Un teorema improntato all’ottimismo e non privo di qualche fondamento, che tuttavia non cancella una sensazione. Quella di uno spartito ampiamente noto, dove i suonatori si sforzano di apportare qualche variante riformista ma la diarchia dei direttori d’orchestra è lungi dal riporre la bacchetta.
Il Mattino di Padova – 21 giugno 2012