di Stefano Simonetti. Quello uscito dal Consiglio dei ministri del 12 ottobre è il Ddl di stabilità più strano degli ultimi anni. Il testo sarà senz’altro emendato e cambiato chissà quante volte prima di diventare la legge di stabilità per il 2014, ma di certo la strana sensazione di impalpabilità che promana dall’articolato c’è ora e resterà. Innanzitutto nei confronti del Servizio sanitario nazionale resta l’incognita del Patto per la salute da concludere entro la fine dell’anno.
I tagli annunciati per più di due miliardi di euro sono per ora semplicemente sospesi per cui il trionfalismo delle Regioni e del ministro Lorenzin appare francamente eccessivo perché l’eventuale ennesima aggressione alla sanità è forse soltanto rimandata.
Per adesso la Sanità è colpita da misure e interventi generali contenuti sostanzialmente nell’articolo 11 del testo in virtù del quale il concorso dello Stato al finanziamento delle Regioni è diminuito per il 2015 di 540 milioni. Anche il successivo articolo 12 porta alcune sgradevoli novità a ex dipendenti della sanità. Si diceva della impalpabilità della manovra.
Se si tiene conto che due interventi abbastanza solidi (autovetture di servizio e studi e consulenze) erano già stati adottati con il DI n. 101 del 31 agosto scorso, che la decurtazione dei fondi contrattuali resa permanente e strutturale è la prosecuzione di un intervento pregresso e che lo stesso blocco della contrattazione collettiva per altri due anni non è affatto una misura nuova, visto che da dieci mesi si è in attesa del Dpr che doveva prendere atto dei saldi contabili negativi e prorogare il blocco in esecuzione della delega di cui all’articolo 16 della legge 111/2011 (ultima manovra Tremonti), c’è da chiedersi quali siano le misure “originali” della legge di stabilità.
È presto detto: il taglio del 50% degli onorari professionali dovuti alle amministrazione dalla controparte soccombente (le cosiddette “probine”), e una revisione quantitativa del turn over consentito. Misura peraltro subito stralciata all’ingresso del Ddl in Senato e che quindi toglie al decreto anche questa caratteristica. Lo stesso taglio del 10% degli straordinari – misura che in ogni caso, come quella sul turn over, non riguarderebbe il Ssn – non sono riuscito a trovarlo nel testo definitivo uscito dal Cdm.
Il blocco della contrattazione (o, meglio, l’annullamento senza possibilità di recuperi) viene allungato ma con una partìcolarità del tutto inusuale, quella che si può procedere alla contrattazione collettiva nazionale «per la sola parte normativa». Si tratta di una evidente misura di contenimento del dissenso dei sindacati e certamente si possono trovare decine di istituti normativi da migliorare o attualizzare ovvero da implementare ex novo (per tutti: l’armonizzazione alla legge Fornero o il congedo parentale a ore previsto dalla legge di stabilità dello scorso anno).
Il problema è un altro. È credibile che i sindacati si siedano a un tavolo di trattativa completamente privi della riserva mentale di poter portare comunque a casa qualcosa? E se dovrebbero aprire la trattativa senza poter portare ai propri iscritti alcunché di valutabile. Per esperienza so che non esiste istituto normativo che nella riscrittura, ovviamente favorevole al lavoratore, non comporti costì indiretti o indotti; e se, al contrario, la riscrittura è favorevole all’azienda, torno a porre la domanda di cui sopra. Per le aziende sanitarie la legge di stabilità si realizza quindi con il taglio degli onorari rispetto ai quali c’è da rilevare che molto raramente i giudici condannano il dipendente ricorrente al pagamento delle spese, anche quando la lite è platealmente temeraria.
Allora il vero fulcro della manovra resta costituito dal blocco della contrattazione collettiva che – come detto – era un atto dovuto pronto da molto tempo. Anche sui 540 milioni ho difficoltà a capire come faranno le aziende sanitarie ad ammortizzare la decurtazione visto che le risorse per i rinnovi contrattuali non erano state certo messe a disposizione.
Si tratta di conseguenza di un vero e proprio taglio lineare che costringerà Regioni e aziende a intervenire su assunzioni e standard dei posti letto in funzione delle strutture complesse, al netto dei provvedimenti su farmaceutica e acquisti che saranno oggetto privilegiato del Patto sulla salute. Ci sarebbe infine il tetto alle retribuzioni comunque a carico della finanza pubblica.
Al di là del fatto che è la terza volta che una legge dello Stato afferma un principio che ppi viene apertamente e reiteratamente eluso – per cui non si vede perché questa volta si debba riuscire ad ancorare lo stipendio massimo ai famosi 302.000 euro – l’occasione è quanto mai invitante per fare un po’ di polemica di parte.
La disposizione dice che le Regioni adeguano i loro ordinamenti al principio generale. Ebbene per la Sanità è arcinoto che lo stipendio massimo raggiungibile da un direttore generale è abbondantemente lontano dalla soglia massima ed è, tra l’altro, congelato da 12 anni: si può allora affermare con un certo orgoglio che in un comparto che conta 700.000 addetti e che ha come missione la tutela di un diritto definito dalla Costituzione come «fondamentale dell’individuo», è pienamente realizzato il noto principio espresso da Fiatone nella “Repubblica” che il ricco non dovrebbe guadagnare più di cinque volte quello che guadagna il povero.
Si diceva dell’articolo 12, relativo alla materia previdenziale così a cuore a tanti ex dipendenti. L’intervento sulla indennità premio di servizio segue l’omologa misura contenuta nel vecchio DI 78/2010 e fa scendere la soglia oltre la quale si deve aspettare 12 mesi (cioè un anno e mezzo dalla cessazione) a 50.000 euro. Vale solo la pena di segnalare che la Ips media di un infermiere che va in pensione è di circa 60.000 euro.
Per ciò che concerne il contributo di solidarietà sulle pensioni sopra i 100.000 euro (o 150.000 secondo un’altra versione del Ddl), la platea dei destinatari è certamente limitata ma si tratta pur sempre di medici che hanno lavorato 40 e più anni versando fior di contributi.
Una valutazione finale sui provvedimenti relativi al turn over (diretti per le amministrazioni centrali e indiretti per la sanità e le autonomie locali): se tutte le amministrazioni pubbliche potranno assumere ancora di meno rispetto al passato, come si potrà realizzare la fantomatica stabilizzazione prevista dal DI n. 101 mediante concorsi pubblici da bandire esclusivamente per i precari?
Nell’attesa che qualcuno risponda alla domanda, si aspetta con curiosità l’adozione del Dpcm che deve disciplinare le modalità di attuazione della stabilizzazione in sanità (articolo 4, comma 10, del DI 101/2013) e che deve essere adottato entro il 30 novembre e di cui non c’è ancora traccia.
Il Sole 24 Ore sanità- 2 novembre 2013